Jessen censurata a Roma Tre, scoppia la polemica
Alcuni docenti hanno protestato. L’incontro, previsto in facoltà, poi accolto dalla cappellania. La donna, sopravvissuta a un aborto, invitata dagli studenti
Alcuni docenti hanno protestato. Un incontro, prima previsto in facoltà, poi accolto dalla cappellania. La donna, sopravvissuta a un aborto, era stata invitata dagli studenti
Alla fine si sono trasferiti a San Paolo fuori le Mura. È uno dei pochi fatti chiari in questo “pasticciaccio” che ha coinvolto l’Università Roma Tre, il gruppo pro-life “Ragazzi universitari per la vita” e l’inconsapevole Gianna Jessen, trentanovenne californiana, nota per essere sopravvissuta a un letale aborto salino. La donna avrebbe dovuto testimoniare la storia della sua vita in un incontro a porte aperte ospitato dall’ateneo romano. Ma qualcosa è andato storto. Una volta avuto il via libera da parte del presidente della Scuola di Lettere, professor Claudio Giovanardi, il gruppo organizzatore ha pubblicizzato l’evento con locandine e volantini. Da quel momento in poi, alcuni professori storcono il naso, sorgono i primi malumori. A questo sparuto gruppo, finora anonimo, la presenza di Gianna in università proprio non va giù.
Nonostante il loro campo d’insegnamento sia quello filosofico-letterario, i docenti in questione si sarebbero trasformati, da quello che riporta il professor Giovanardi ad Avvenire, in agguerriti legulei appigliandosi a un cavillo per bloccare la testimonianza contro l’aborto. Gli studenti pro-life avevano infatti diffuso una locandina che conteneva un’inesattezza nella forma. Anziché citare la Scuola di Lettere, Filosofia e Lingue, attribuivano l’incontro al Dipartimento di Studi Umanistici. Un alibi sufficiente, a quanto pare, per chiedere al preside di annullare l’iniziativa.
A quel punto, il professor Giovanardi (solo omonimo del senatore) ha tentato di ricucire lo strappo chiedendo di «ritirare le locandine e tenere regolarmente la conferenza (17 maggio n.d.r.) nelle nostre aule universitarie, come previsto da settimane». Niente da fare: la protesta, seppur sparuta, monta ugualmente. Alla fine, per togliere tutti dall’imbarazzo, è intervenuto don Andrea De Feo, uno dei cappellani di Roma Tre, mettendo a disposizione la sede della cappellania di San Paolo fuori le Mura dove si è poi tenuto l’incontro. «Cerchiamo di lavorare con la volontà di non alzare inutili polveroni il cui unico scopo sembra quello di confondere la gente – commenta don Andrea -. Certo resta l’amaro in bocca per il comportamento di alcune persone. A noi interessa comporre le criticità, quando possibile, ma sempre nel rispetto delle differenze che formano l’identità di ognuno».
«Sono molto arrabbiato con quei docenti che hanno creato un caso solo per poter censurare la donna americana – fa notare il preside -. Da non praticante, devo dire che oggi si tollera tutto, in Italia, tranne che anche i cattolici possano esprimere il loro pensiero». E la faccenda si fa ancora più paradossale se si considera che la signora Jessen cattolica non lo è mai stata. «Ho scritto una circolare interna ai miei docenti, dicendo che non tollero simili pregiudizi ideologici – fa sapere sempre Giovanardi -. In una università, dove si formano i giovani, è importante ascoltare testimonianze, senza censurare alcuna voce e soprattutto senza apriorismi».
Il rettorato, in un comunicato stampa, si è affannato a ricostruire i cavilli che avrebbero fatto saltare l’incontro: «Nessuna censura – assicura il rettore Mario Panizza -. Non è un’iniziativa dell’ateneo. Mi sono informato con il Dipartimento (di studi umanistici n.d.r.) e mi è stato spiegato che tutto è partito una decina di giorni fa dalla Scuola di Lettere». Per il rettore Panizza sembra essersi trattato di un innocuo “fallo di confusione”. Tra i più stupiti gli organizzatori della giornata, i ragazzi: «È incredibile che proprio gli insegnanti, coloro che dovrebbero aprire le nostre menti, si siano opposti alla testimonianza di una persona, adducendo per di più il futile motivo della locandina».
Ma torniamo al principio. L’incontro è avvenuto a San Paolo fuori le Mura. «C’erano molti giovani che hanno ascoltato la testimonianza di Gianna con grande attenzione – dice il coordinatore dei cappellani di Roma Tre, don John D’Orazio -. Non ci sono state polemiche, nessuno ha alzato la voce. Gianna ci ha raccontato la storia della sua vita straordinaria e noi l’abbiamo ringraziata per questo». La donna è una dei duecento sopravvissuti che possono dirsi “vittima” di aborto. Hanno provato ad ucciderla al settimo mese, con l’iniezione di una soluzione di sale nell’utero materno. Si chiama aborto salino. Gianna rimase nella soluzione salina per più di 18 ore. Non bastarono a bruciarla tutta. Capita rarissime volte, e in quei casi si dà al bambino un farmaco che gli ferma il cuore.
«Per fortuna – racconta la donna – il medico del mio aborto era andato a casa a dormire: erano le 6 del mattino del 6 aprile 1977. La miglior rivincita è che poi, al suo arrivo, ha dovuto firmare il mio certificato di nascita». Ma non è stata semplice la vita di Gianna: a 17 mesi la paralisi cerebrale che ancora oggi le provoca fatica, difficoltà di deambulazione, e il “Post traumatic stress disorder”, la patologia che colpisce le vittime di grandi catastrofi o guerre. Ha raccontato tutto questo, Gianna. Ha raccontato di come la vita l’ha resa «una donna appassionata e libera, con la certezza che nulla è impossibile».
19 maggio 2017