“Mangiare da Dio”: quando «a tavola si impara ad amare»
Edizioni San Paolo pubblica un libro sul rapporto tra religione e cibo. Don Andrea Ciucci e don Paolo Sartor raccontano la storia della Chiesa dalla cucina
Pubblicato dalle edizioni San Paolo un libro sul rapporto tra religione e cibo. Don Andrea Ciucci e don Paolo Sartor raccontano la storia della Chiesa dalla cucina
Occasione di condivisione e di dialogo, Gesù ha voluto la tavola quale luogo di comunione: tanto che di banchetti a cui siede il figlio di Dio se ne contano ben 15 nelle poche pagine dei vangeli mentre il termine “pane” viene citato addirittura 400 volte nella Bibbia. Anzi, la stessa eucarestia – la “klàsis toù àrtou” – è la frazione del pane. Una fede, quella cristiana, in cui il cibo ha un ruolo nella misura in cui è sinonimo di ospitalità e senso di appartenenza, e che offre lo spunto a due sacerdoti milanesi, Paolo Sartor e Andrea Ciucci, per dare alle stampe il curioso volumetto “Mangiare da Dio. Cinquanta ricette da San Paolo a Papa Francesco” (Edizioni San Paolo). Una sorta di memoria culinaria di ciò che ha arricchito il “convivium” di molta storia della Chiesa, «questo popolo di fratelli che vive nel mondo senza appartenervi – spiegano i due sacerdoti – sostenuto da un banchetto domenicale dove si fa cibo il Maestro» perché «anche a tavola si impara ad amare: alla tavola dell’Eucaristia e a quella della fraternità. E nello stesso luogo ci si riconosce peccatori bisognosi di penitenza e di grande misericordia».
Succede allora che attorno al cibo accadano cose importanti. Attraverso le ricette, i due sacerdoti – che si occupano d’iniziazione cristiana e hanno già pubblicato con San Paolo “A tavola con Abramo” e “In cucina con i Santi” – passano in rassegna infatti alcuni dei momenti e dei personaggi più importanti della storia della Chiesa. Il viaggio nelle cucine cristiane inizia, è il caso di dirlo, con il “pane della traversata” di cui forse si cibarono Paolo e i suoi compagni nel peregrinare da Gerusalemme a Roma. Tra le ricette del mondo ellenistico-romano del tempo si trova, infatti, quella del “panis nauticus”: una specie di galletta, nel cui impasto è presente il vino a ragione del suo potere di conservazione e adatta perciò ai lunghi viaggi in mare. Tra le pagine del libro si trova anche il dolce “di benvenuto” del Papa africano Gelasio a cui si attribuisce l’invenzione delle crêpes, perché le fece offrire a un gruppo di pellegrini francesi venuti a Roma per la festa della Candelora (2 febbraio). Di Martino V, salito al soglio pontificio nel 1417, è giunto fino a noi addirittura l’intero ricettario del suo cuoco di fiducia, il prete tedesco Johannes Bockenheym che aveva una ricetta per ogni categoria o provenienza geografica dei commensali. Nel volume, Sartor e Ciucci riportano la preparazione della torta di erbe, «ottima per i cortigiani e le loro mogli».
Capaci di suscitare ammirazione per lo stile di vita essenziale, i monaci non erano invece ugualmente invidiati per la loro dieta, che appare piuttosto povera e monotona. Eppure secondo alcuni studiosi queste caratteristiche avrebbero contribuito in modo involontario alla nascita della gastronomia moderna. «In effetti l’esigenza di sfamare molti con poco e di rendere gustoso ciò che era essenziale fece sì che i cucinieri dei conventi diventassero esperti nel curare le preparazioni». Sì al cibo, dunque, anche se presto ci si dovette occupare dell’obbligo del digiuno. Gli autori di questo originale ricettario riportano la querelle sorta in Europa intorno alla cioccolata: cibo o bevanda? «La legge ecclesiastica stabiliva che il digiuno non veniva interrotto dall’acqua e dalle bevande. Ci si chiese perciò se il cacao in tazza, con la sua componente burrosa, potesse essere considerato un liquido o se invece spezzasse il digiuno. I domenicani erano contrari, i gesuiti possibilisti». Nel 1627 il trattato di teologia morale di Escobar y Mendoza risolse il quesito, considerandola bevanda a patto che nell’acqua venisse disciolta «soltanto un’oncia di cacao e una e mezza di zucchero. Non di più». Questa ed altre curiosità culinarie permettono di rivivere dunque 2000 anni di un popolo fondato da chi, accusato di essere «un mangione e un beone» – come riporta l’evangelista Matteo -, ha insegnato che «non di solo pane vive l’uomo».
20 luglio 2015