Il «riparo» di Greenslade, amore e avventura
Nel libro pubblicato da Keller, la storia ha una forza lirica e un respiro in cui vibrano le corde di Emily Bronte insieme a quelle di Mark Twain
Nel libro pubblicato da Keller, la storia ha una forza lirica e un respiro in cui vibrano le corde di Emily Bronte insieme a quelle di Mark Twain
È bello sapere che nel mondo esistono scrittrici come Frances Greenslade, canadese ancora cinquantenne, impegnata a comporre altre opere magari più intense del già notevole Il nostro riparo che, grazie al piccolo editore Keller di Rovereto (pp. 358, 17,50), abbiamo letto, nell’ammirevole traduzione di Elvira Grassi, con passione superiore alla norma. È sempre fuorviante riportare la trama di un romanzo per la semplice e buona ragione che in letteratura contano soltanto lo stile, il timbro di voce, la qualità della visione e ogni nucleo tematico in sé vale quasi zero; ma nel caso specifico il rischio del fraintendimento sembra persino maggiore del solito.
Se infatti ci limitassimo a dire che Shelter (il titolo originale: rifugio, protezione, asilo, riparo, per l’appunto) è la storia di due sorelle abbandonate dalla madre, nello scenario della Columbia Britannica, tra foreste, orsi e grandi pianure, avremmo spinto il lettore verso la più classica delle false piste. Non perché non siano queste le coordinate geografiche e narrative nelle quali il libro, uno dei risultati più alti della produzione contemporanea, possa essere inquadrato, ma in quanto a renderlo speciale è il respiro da cui prende fiato, l’anima che lo sostiene. Una quintessenza in cui senti vibrare le corde di Emily Bronte insieme a quelle di Mark Twain.
A raccontare l’intera vicenda è la piccola Maggie, legatissima al padre, il quale esce presto di scena, vittima di un fatale incidente di lavoro nel bosco. Da quel momento lei si trasforma, insieme alla sorella Jenny, poco più grande, nella cassa di risonanza di una serie di dolorosi eventi familiari legati fra loro da nessi imperscrutabili e tragicamente ineludibili. L’intricato percorso verso la maturità compiuto dall’indimenticabile protagonista, bambina nelle prime pagine, quasi donna alla fine, passa attraverso numerose terribili prove. Più torna indietro nel tempo, più sente la necessità di tagliare qualcosa dentro se stessa, come se fosse questa la sostanza intima, crudele e imprevedibile, della vera scelta che nella gravidanza assume un valore paradossale: «Le madri danno e cedono, perfino quando non ricevono niente in cambio. Perlomeno così dovrebbe essere».
La potenza quasi primordiale dell’ambiente circostante grava sull’azione dei personaggi alla maniera di una cappa misteriosa, facendo terra bruciata intorno alle volontà da cui scaturiscono, come se ogni proposito umano fosse un’onda impetuosa destinata a infrangersi sugli scogli. La dote preziosa che il testo ci lascia in sorte è lo scarto tra il vento maestoso del fondale scenografico e la dimensione ordinaria della vita quotidiana: poche rievocazioni degli anni Settanta, così come furono vissuti nell’eterna provincia nordamericana, possiedono la forza lirica presente in questo romanzo d’amore e d’avventura, dove genitori e figli sembrano scambiarsi di posto in un gioco cruento di reciproche accuse e postumi risarcimenti.
1° marzo 2016