Adolescenza, favorire in famiglia lo spazio dell’incontro

Il percorso dei ragazzi è caratterizzato da un cortocircuito interno. Il processo di differenziazione è più facile quando i ruoli sono chiari definiti

Ci sono soltanto due lasciti durevoli che possiamo sperare di dare ai nostri figli. Uno sono le radici, l’altro, le ali.
(Hodding Carter)

Le terapie famigliari spesso iniziano con la richiesta di essere aiutati a capire il proprio figlio: prima riconosciuto ed identificato come “il mio bambino” per poi diventare uno sconosciuto, incomprensibile e a volte nemico, seduto alla stessa tavola. Da quando la società ha mutato l’assetto passando da una cultura agricola ad una industriale e da questa ad una di servizi, è cresciuta l’attenzione ai fenomeni sociali e alle sfumature psicologiche dei sistemi familiari e dei loro membri. Possiamo ipotizzare come l’evolversi dei costumi sociali e della cultura, del momento storico di appartenenza, favorisca una certa pressione verso l’acquisizione di “abitudini familiari” che pur non generalizzabili, rispettando la specificità e l’irripetibilità del singolo nucleo familiare, permettono di trarre alcune considerazioni.

Prendendo in esame le caratteristiche della mia adolescenza, circa un trentennio fa, potrei dire che era una generazione ribelle, non tanto quanto i nostri predecessori degli anni 60/70 dove la lotta studentesca era un simbolo di appartenenza e di identità; la nostra era una ribellione più per “moda”, anche se di base c’era il credere in determinati valori, il voler manifestare per difenderli e il sentire che si stava comunque contribuendo alla democrazia. Anche in “quella adolescenza” c’erano casi di bullismo a scuola, non ancora pubblicizzato sui social, ma c’era chi aspettava nei bagni della scuola o fuori per manifestare la vessazione nei confronti di chi era più timido e ritirato. C’era chi fumava la cannabis ma era considerato il trasgressivo della classe, quello con “un po’di problemi” che non sarebbe stata una buona idea presentare a casa!

Fondamentalmente in tutti i periodi storici l’adolescenza è stata vissuta come un momento critico, inteso nella sua accezione etimologica come un momento di scelta, di separazione, di distinzione che richiama l’idea di un processo in atto, di un cambiamento, di un turbamento da una condizione e da uno status come quella del passaggio dall’esser bambino a quella di diventare un adulto.

Il percorso adolescenziale è visibilmente caratterizzato da un cortocircuito interno su ciò che prima era definito e scelto dal genitore a quello che sarà definito e scelto dall’Io in formazione. Il conflitto, la messa in discussione del modello familiare, la possibilità di poterlo scegliere, perché se ne percepisce l’appartenenza o al contrario il poter rifiutare delle abitudini e delle modalità, fa parte del processo di identificazione e differenziazione che favorisce la maturazione dell’individuo.

Il processo di differenziazione viene favorito quando i termini da differenziare ed individuare sono abbastanza chiari e definiti, quando i ruoli nel sistema familiare sono anch’essi ben identificabili, quando il genitore è colui che educa, conduce con saggezza, fermezza connotando con la propria affettività la relazione genitore-figlio. Mentre la differenziazione risulta più complicata quando c’è ambiguità nei termini, quando il genitore ha difficoltà a tenere emotivamente “l’odio” del figlio, e preferisce “scendere” dal livello del sottosistema genitori al sottosistema dei fratelli e a volte, nei casi più disfunzionali, anche invertendo i ruoli: per cui abbiamo figli-genitoriali e genitori che necessitano di essere guidati e sostenuti.

Quando una famiglia chiede aiuto è importante considerare vari aspetti, allargare la prospettiva, lì dove sembra solo orientata ad un “figlio di cui non si conoscono le istruzioni per l’uso”, è necessario ascoltare il romanzo familiare, mettere in luce i valori, i miti con cui la coppia genitoriale è cresciuta, valorizzare e sostenere le competenze e lavorare sui limiti prendendone consapevolezza e rispettandoli.

Quando un figlio sembra “illeggibile” possiamo chiederci: “Da quale prospettiva sto cercando di leggerlo e con quali strumenti?” Se lo spazio relazionale tra genitori e figli non si satura di aspettative, desideri, teorie di come un genitore o un figlio dovrebbero essere, diventa uno spazio di incontro dove la specificità di ogni individuo può generare un’area potenziale di crescita per tutto il sistema.

Vorrei concludere con questo pensiero di Piero Angela: “Data la rapidità crescente dei cambiamenti culturali è difficilmente pensabile che un genitore, per quanto «moderno», possa trasmettere al figlio un modello valido per il resto della vita: ciò sarebbe molto presuntuoso e poco intelligente. Deve invece cercare di stimolare la sua capacità di giudicare le situazioni e di trovare le risposte giuste. Non deve cioè insegnargli un percorso, ma insegnargli a guidare» (Laura Boccanera)

15 settembre 2017