Zuppi: «Per cambiare le cose, mettersi nelle scarpe dei ragazzi»

L’intervento del presidente Cei all’apertura delle celebrazioni del centenario della nascita di don Milani, a Barbiana. «Ci costringe a sporcarci di fango, di vita vera»

«Per cambiare le cose non serve innamorarsi delle proprie idee, ma bisogna mettersi nelle scarpe dei ragazzi di allora e di oggi, degli universali Gianni e non darsi pace finché non siano strappati da un destino già segnato». Per il presidente della Cei Matteo Zuppi, sta tutta qui la lezione di don Milani, «per tutti, credenti e non, prete e cittadino italiano». Lo ha ricordato intervenendo sabato 27 maggio a Barbiana, all’apertura delle celebrazioni per il centenario del Priore. «Don Milani – ha detto – non può essere ridotto a banale politically correct, facile esortazione o denuncia. Ferisce, perché svela le parole vuote, la retorica che copre l’inedia e chiama questa per nome, senza sconti. Come disse don Benzi, don Milani è “un diamante che doveva ferirsi e ferire”. Egli – ha continuato – ci mette di fronte alle nostre responsabilità di ruolo e di paternità, ci chiede di farci carico di chi è più fragile e non di fornirgli istruzioni per l’uso senza aiutarlo, sistema che fa sentire a posto chi può sempre dire “io lo avevo detto” ma senza che si sia mai dato da fare per aiutare»”.

Nelle parole del presidente dei vescovi, «don Milani ci costringe a sporcarci di fango, di vita vera, perché non si lascia certo ridurre a oggetto da salotto senza cambiare il salotto o senza uscirne, proprio come aveva fatto lui, borghese, colto, che scelse di imparare diventando maestro e alunno dei poveri, stando dalla parte dei poveri per trovare la propria parte, profeta intransigente di cambiamento, obbedientissimo e per questo libero prete della sua Chiesa senza la quale non voleva vivere. La sua – ha ricordato – è stata una vita brevissima, alla quale la Chiesa in Italia e tutto il nostro Paese devono molto. Ha fatto della radicalità evangelica (perché c’è un Vangelo tiepido?) il senso del suo amore alla vita e della sua fedeltà a Cristo. Da credente».

Don Lorenzo, ha rilevato ancora Zuppi, «ha trasformato un esilio in un esodo, ha preso per mano la Chiesa, rivendicando il suo servizio agli ultimi come dimensione spirituale e servizio ecclesiale. Oggi ricorda alla Chiesa che le basta il Vangelo e l’amore che genera amore e alla Repubblica che deve ancora “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” perché l’uguaglianza è il suo “compito” da non tradire». E ancora: don Milani «ci mette in cammino verso il futuro, con la vera risposta che è la passione evangelica e umana capace di generare vita – ha concluso -. Il futuro, la bellezza della vita benedetta e più forte delle paure, per cui vale la pena viverla e donarla, è tutto nell’I Care. I Care ci libera dall’osceno e disumano me ne frego, anche quello detto con più raffinatezza. Il primo I care è quello di Dio, il migliore maestro e padre».