Zuppi: «La guerra, come una pandemia. Bisogna fare di tutto per arrivare alla pace»

Il presidente Cei si racconta a “Soul” (Tv2000): «La Chiesa non è una ong, è molto di più». E sulla missione per l’Ucraina: «Penso che il Papa abbia chiari i propri limiti, i limiti del ruolo del servizio della Chiesa ma anche le proprie responsabilità, che vive e a cui chiama un po’ tutti»

Il rapporto tra la Chiesa italiana e il Papa, il ruolo della Chiesa, la missione di pace in Ucraina. Il cardinale presidente della Cei Matteo Zuppi si racconta a tutto tondo in una lunga intervista a “Soul”, il programma condotto da Monica Mondo su Tv2000, in onda domani, 30 dicembre, alle 20.50. E il punto di partenza è proprio la relazione delle comunità ecclesiali in Italia con il pontefice.

«C’è un buon rapporto, dialettico», afferma. Quindi aggiunge: «Un buon rapporto per forza, lo è in assoluto: se uno è cattolico e non ha buoni rapporti col Papa il problema è che forse ti sei dimenticato di essere cattolico, penso io. Con qualunque Papa ovviamente; poi come sempre nella vita uno può sentire per storia, per sensibilità, più vicine delle parole rispetto ad altre, ma quello è sempre il Papa».

In particolare per quanto riguarda il ruolo della Conferenza episcopale italiana, Zuppi riferisce la «chiarissima indicazione» di Bergoglio che la Cei debba «essere snella, fare tanto con poco, aiutare a fare tanto, quindi non fare le cose perché abbiamo i mezzi ma usare i mezzi per fare le cose. Qualche volta – prosegue – la Chiesa ha anche una certa idea, a mio parere, deformata,  pensando di avere il copyright dell’amore: “Quello vero è il nostro, quello degli altri vale un po’ di meno”. Mentre scopriamo ovviamente che nostro Signore è molto più largo del nostro cuore e ci fa scoprire tante testimonianze bellissime, incredibili, tanti esempi. “Ma come, tu hai un maestro che è così grande e sei così fallimentare”: questa – riflette – sarebbe la domanda vera. La Chiesa non è una ong, ma è molto di più».

Ai microfoni di Soul il presidente Cei torna anche sulla missione di mediazione per l’Ucraina affidatagli da Francesco. «Penso che il Papa non aveva in mente il Mozambico come formula, “proviamo a vedere se funziona”; aveva in mente quell’espressione che ha usato in Ungheria: una pace creativa, cioè inventarsi la qualunque per arrivare alla pace, trovare tutti i mezzi e coinvolgere tutti quelli che possono aiutare, per giungere nella direzione della pace. Quindi non è detto nemmeno trovarla, nessuno ha l’ambizione – aggiunge -. Credo che Papa Francesco abbia sufficientemente chiari i propri limiti, i limiti del ruolo del servizio della Chiesa ma anche le proprie responsabilità, che vive e a cui chiama un po’ tutti». Nelle parole del porporato, «bisogna fare di tutto per arrivare alla pace, perché la guerra fa male, uccide, è una pandemia. Questa sensibilità, che vuol essere creativa, non significa che vediamo come va; bisogna inventarsi di tutto. Questa penso fosse la preoccupazione del Papa».

Nell’intervista, spazio anche ai ricordi personali. A cominciare dai primi passi verso il sacerdozio. «Entrare in seminario – racconta Zuppi – era un modo per donare la vita, per dare quello che ero, poca roba, ma la poca roba acquista di più se la regali, ecco questo sì; se te la tieni in genere ci fai poco». E parla della gioia dei suoi genitori: «Erano orgogliosi, fieri di questo, e papà non mi ha più chiamato Matteo, mi ha sempre chiamato don Matteo: perché adesso sei don Matteo, non sei più Matteo. Proprio per dire quanta importanza dava alla scelta».

29 dicembre 2023