Woody Allen, in dialogo tra fede e ragione

In uscita l’ultimo film del regista: “Magic in the Moonlight”. Dopo tanti anni, il regista conserva inalterate lucidità e limpidezza: nello scrivere dialoghi, nel gestire le psicologie dei personaggi

Gli 80 anni si avvicinano (è nato nel dicembre 1935) ma lo spirito non cambia, e finché c’è cinema c’è speranza. Ecco allora Magic in the Moonlight, il nuovo film scritto e diretto da Woody Allen, in uscita nelle sale a partire dal 4 dicembre. Un film che allunga una serie iniziata nel lontano 1969 con Prendi i soldi e scappa come un diario pieno di umori, una cascata inarrestabile di spunti e storie tra ironia e rabbia, dubbi e indecisioni sulla vita, la morte, la felicità e l’infelicità. Lo scontro tra gli opposti è in primo piano. La vicenda ha tratti di delicatezza, frivolezza e insieme paura. Siamo sullo scenario della riviera del sud della Francia nel 1928.

Un famoso prestigiatore si esibisce nei teatri d’Europa sotto le sembianze del cinese Wei Ling Soo, ma in realtà si chiama Stanley Crawford, è inglese, scorbutico e arrogante. Su invito del vecchio amico Howard, l’uomo accetta di recarsi sulla Costa Azzurra per smascherare la chiaroveggente Sophie Baker, giovane affascinante, che si ritiene capace di entrare in contatto con i morti nell’al di là. Stanley è sicuro di mettere in crisi la ragazza in breve tempo e di rivelarne l’intento truffaldino. Le cose però si rivelano meno semplici del previsto. Messo in crisi da una serie di riscontri, Stanley si fa quasi convincere e sta per arrendersi.

Molti risvolti devono accadere prima che la scena sia dominata dal trucco più implacabile di tutti, l’amore. I medium spirituali erano di gran moda negli anni Venti e le sedute spiritiche erano molto comuni. Persona razionale, intelligente e con una mente scientifica, Stanley vive anche per mettere a nudo la stupidità degli ingenui. Va avanti sicuro di sé fino a quando un banale incidente in cui è coinvolta la zia non lo induce a pensare di mettersi a pregare. Si tratta di un breve passaggio dal quale l’uomo si riprende manifestando una certa sorpresa con se stesso. Ma intanto il nodo è sciolto, e il successivo ostacolo proposto dall’affettività non sarà superato.

Si resta ogni volta più increduli e ammirati nel constatare come Allen, dopo tanti anni di lavoro, conservi intatte lucidità e limpidezza: nello scrivere dialoghi, nello scegliere le location, nel gestire le psicologie dei personaggi. La dialettica tra fede e ragione resta centrale, pilastro intorno al quale Allen continua a soffrire, confrontarsi, a scandagliare la propria anima di ebreo inquieto, teso, non riconciliato. È anche una grande, bella storia d’amore, romantica e affettuosa, affidata ad una regia profonda, distesa tra ironia, umorismo e beffardo rincorrersi del destino. Film serio, piacevole, intelligente.

 

1 dicembre 2014