Walter Persegati, un museo come strumento di pace

Attivo nel movimento giovanile cattolico, rappresentò la Santa Sede alla Fao e soprattutto fu artefice del rilancio dei Musei Vaticani, «culla della Storia»

«I musei – afferma Papa Francesco nel volumeLa mia idea di arte” curato da Tiziana Lupi – devono accogliere le nuove forme d’arte. Devono spalancare le porte alle persone di tutto il mondo. Essere uno strumento di dialogo tra le culture e le religioni, uno strumento di pace. Essere vivi! Non polverose raccolte del passato solo per gli “eletti” e i “sapienti”, ma una realtà vitale che sappia custodire quel passato per raccontarlo agli uomini di oggi…». Se i Musei Vaticani, a partire dagli anni Settanta, si sono organizzati per rispondere a questa sfida lo si deve ad un uomo di grande fede, e perenne lealtà alla Chiesa, che dei Musei è stato segretario generale e tesoriere fino al 1998: Walter Persegati. La sua storia, sin dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, s’è avvinghiata al servizio della Chiesa in varie ed avventurose forme.

Nato a Verona nel 1920 da una famiglia di artigiani, incontrò presto l’esperienza della Gioventù Italiana di Azione cattolica (Giac), nel secondo dopoguerra ne divenne segretario organizzativo a livello nazionale, occupandosi di una rete di associazioni giovanili che aveva ramificazioni in tutte le parrocchie con direzioni diocesane e regionali. Quando nel settembre 1948 a Roma calarono i 300mila baschi verdi dei giovani di Ac, Persegati fu l’uomo a capo della macchina organizzativa e lo speaker ufficiale della manifestazione per la Radio Vaticana.

Dopo quelle giornate si decise di costituire il “Bureau International de la Jeunesse Catholique” che doveva coordinare le organizzazioni cattoliche giovanili di Italia, Spagna e Germania, per poi allargarsi ad altre nazioni; del Bureau, che avrebbe dovuto aver sede nella erigenda Domus Pacis, Persegati fu nominato segretario generale. Al fine di reperire fondi per l’edificazione della Domus il giovane dirigente si recò a più riprese negli Stati Uniti lavorando alla raccolta per un mese nel 1949, per tre nel 1950 e per altri tre nel 1951, e racimolando fondi per 202.580,33 dollari. Nel Bureau conobbe Silvana Santiccioli (scomparsa proprio pochi giorni fa, il 12 maggio), che sposò il 12 settembre 1952 e dalla quale ebbe le figlie Chiara e Francesca.

Il giorno del matrimonio tenne l’omelia Arturo Paoli, allora vice-assistente della Giac, Giusto tra le Nazioni per l’aiuto agli ebrei nella II guerra mondiale, e poi missionario in Sud America. La prima figlia ebbe come padrino di battesimo Mario Rossi, il successore di Carlo Carretto alla presidenza della Giac, poi dimessosi in disaccordo con la presidenza di Luigi Gedda. Le vicende dell’Azione cattolica a cavallo del biennio 1952-1953 e i cambiamenti a livello dirigenziale lo lasciarono spaesato: «Mi sentivo a disagio – scrisse -, non avevo più l’entusiasmo che avevo prima, entusiasmo e convinzione senza i quali, durante tutta la mia vita, non ho mai potuto lavorare».

Fu a quel punto che Walter cercò nuovi orizzonti trasferendosi negli Usa. Nel 1952 un gruppo di italo-americani aveva costituito, negli Stati Uniti, una associazione chiamata “American Committee on Italian Migration”, con  lo scopo di favorire leggi che facilitassero l’immigrazione italiana. Giunto negli Usa, a Persegati fu offerto un lavoro presso il “Catholic Relief Services” di Chicago. Doveva organizzare nelle quattro stazioni ferroviarie della città l’accoglienza dei profughi provenienti dall’Europa – via New York – ed il loro smistamento per treni destinati verso l’Est.

Ma a Chicago la coppia – perché Silvana non si tirò indietro – curò anche l’accoglienza dei profughi italiani. Aprirono un ufficio presso la St. Michael’s Church, e iniziano a cercare famiglie americane disposte a fornire i loro nomi come “sponsors”, appartamenti per le famiglie in arrivo e scuole per i figli, lavoro per quei membri delle famiglie che potevano lavorare. I Persegati ricordavano che accompagnavano i profughi anche al supermercato (in Italia ancora non ce n’erano) insegnando come fare la spesa. «Ho assistito ed aiutato a sistemarsi a Chicago – ricordava Walter Persegati – più di 200 famiglie, quasi tutte provenienti da Trieste e la Venezia Giulia, profughi dalla Dalmazia e dall’Istria».

Col tempo Persegati venne assunto in un’azienda meccanica di proprietà di italiani. Le sue capacità organizzative non erano passate inosservate e la “Radio Steel & Manufacturing Co.” di Antonio Pasin, un immigrato da  Bassano del Grappa, lo scelse come assistente per il vicepresidente. In quell’azienda aveva grandi possibilità di sviluppare una carriera dirigenziale e gli fu anche proposto di diventare socio. Ma la Chiesa tornò a bussare alla sua porta. Nel dicembre 1957 monsignor Luigi Ligutti, all’epoca osservatore permanente della Santa Sede alla Fao, gli telefonò da Roma proponendogli di aprire assieme un ufficio in Vaticano per i rapporti con quella organizzazione internazionale, ed il progetto era già stato approvato dalla Segreteria di Stato. I proprietari della “Radio Steel & Manufacturing Co.” cercarono di trattenerlo in ogni modo, e forse il giovane avrebbe anche ceduto alle lusinghe di una carriera americana, ma decise quando monsignor Ligutti gli chiese: «Walter, tutta la tua vita hai lavorato, direttamente o indirettamente per la Chiesa. Perché non vuoi continuare a farlo ora?».

Preparati i bagagli, all’inizio del 1958 i Persegati tornarono in nave verso l’Italia, andando ad abitare in via Aurelia 239, un condominio di appartamenti edificati tra il 1948 ed il 1950 da una cooperativa di giovani della Giac tra i quali figuravano Carlo Carretto, Emilio Colombo, lo stesso Persegat, e l’architetto Ilvo Avetta, al quale si deve – tra l’altro – la chiesa edificata sopra la casa di Pietro a Cafarnao. Da allora Persegati si occupò dei rapporti della Santa Sede con la Fao divenendo poi segretario della Commissione Justitia et Pax.

Ma la sfida più grande in questa vita al servizio della Chiesa lo coglie all’inizio degli anni Settanta, quando, in vista dell’Anno Santo 1975, Paolo VI lo designa segretario generale e tesoriere dei Musei Vaticani. C’era bisogno di mettere mano ai Musei per rinnovarli e prepararli al flusso dei pellegrini per il Giubileo. In quella funzione, poi ricoperta per oltre 25 anni, Persegati ripensa la funzione dell’istituzione che gli è stata affidata.

Per lui il museo è «una culla della Storia». E ciò che è conservato nella culla va protetto, conservato in salute, esibito nella sua bellezza; e come ogni cosa bella, va spiegata a chi la guarda, e ove possibile, va fatta uscire, girare per il mondo, affinché altri la vedano. L’arte del Musei era vissuta da Persegati un po’ come una figlia preziosa. Ma per fare quello che aveva in mente aveva bisogno di risorse, ed anche in questo senso è stato abilissimo, procurandole in ogni parte del mondo, dagli Usa al Giappone, creando reti di innamorati dell’arte dei Musei Vaticani pronti a finanziare le sue iniziative: i Friends of American Art in Religion a New York e i Patrons of the Arts in the Vatican Museum a Chicago e San Francisco.

Nella sua gestione è diventata importante la formazione dei dipendenti, che si sono moltiplicati per rispondere alle esigenze dei diversi profili professionali. C’è chi sostiene che quando Persegati li prese in mano, i Musei Vaticani fossero fermi al XVIII secolo. In poco più di vent’anni la sua gestione ha portato i visitatori da 400mila a più di due milioni l’anno, incrementando la redditività delle visite del 650%. E soprattutto operò perché quella bellezza potesse “uscire” dalle sale in cui era conservata. Nel 1983-1984 organizzò la prima mostra vaticana negli Usa, “The Vatican Collection-The Papacy and Arte” che  fu esposta al Met di New York, al Chicago Institute of Art e al De Young Museum of Art di San Francisco.

Persegati, morto a Roma il 28 luglio 2017, era un lavoratore instancabile, scrupoloso, preciso, capace di innovare e di far vivere i Musei come un ponte tra mondi e popolazioni diverse affinché, nell’ammirare la bellezza, si sentissero affratellate e degne di vivere in pace. Considerava Paolo VI il “suo” Papa, capace di stupirlo con la sua delicatezza. Ha lasciato scritto: «Ho avuto molti contatti con lui e tutte le volte che mi incontrava era molto affettuoso e sempre mi diceva: “Persegati, mi dicono che Lei lavora tanto!”. Sentirsi dire questo da un Papa – osservava – fa un certo effetto». E la definizione di Museo che ha in mente Papa Francesco coglie appieno il risultato ottenuto da questo laico che ha speso la vita nel servizio della Chiesa.

15 maggio 2020