Vittime delle mafie, don Ciotti: «Sporcarsi le mani per i diritti, per la dignità e la giustizia»
Nella XXIX Giornata, il corteo promosso da Libera e Avviso pubblico dall’Esquilino al Circo Massimo, con 500 familiari giunti da tutta Italia. L’appello alle istituzioni: «Non toccare norme giuste. Guai a modificare la legge 185. Vuole la politica ascoltare la base o no?»
Giovanni Falcone, tra le vittime più conosciute dalla mafia in Italia, disse: «Gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini». Le gambe di centomila persone hanno attraversato stamattina, 21 marzo, il centro di Roma in occasione della XXIX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera e Avviso pubblico. Alla testa del corteo, partito da piazza dell’Esquilino e diretto al Circo Massimo, 500 familiari giunti da tutta Italia.
Durante il tragitto sono stati scanditi i nomi di 1.081 vittime, riletti al Circo Massimo – anche da sindaci, tra i quali Roberto Gualtieri, membri delle forze dell’ordine, giornalisti, sacerdoti, tra i quali monsignor Francesco Pesce della diocesi di Roma – prima dell’intervento di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, presente al corteo. «Facciamo rinascere la memoria di tutte le vittime finite nell’oblio – ha detto -, usciamo dalla logica di una memoria che celebra ciò che ha dimenticato di custodire in vita».
Da don Ciotti anche l’esortazione a impegnarsi, «a sporcarsi le mani per i diritti, per la pace, per la dignità e la giustizia per tutti». Quindi dal palco del Circo Massimo ha lanciato l’appello ai cittadini a esercitare «sempre il proprio diritto di voto perché ognuno deve fare la sua parte» e alle istituzioni – in piazza, tra gli altri l’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte e il segretario del Pd Elly Schlein – quello di «non toccare norme giuste. Guai a modificare la 185 – ha detto a gran voce, citando la legge sul commercio delle armi -. Vuole la politica ascoltare la base o no? Siamo preoccupati dei cambiamenti normativi, assistiamo a modifiche che rischiano di indebolire la lotta alla criminalità».
Ciotti ha anche espresso solidarietà al sindaco di Bari Antonio Decaro, la cui amministrazione è sospettata di infiltrazioni mafiose. «Occhio alle speculazioni – le parole di Ciotti -. C’è sempre chi deve cavalcare, tocca a noi difendere gli onesti». Infine un pensiero «per il bisogno di verità» per Giulio Regeni, per l’ambasciatore Luca Atanasio e altri. «Anche il dolore di quelle famiglie è qui».
Tutti i familiari presenti portano al collo la foto del congiunto assassinato. Tanti quelli che non ne conoscono il motivo. Anna Maria Zirilli è la mamma di Celestino Maria Fava, 22enne calabrese ucciso il 29 novembre 1996 nelle campagne di Palizzi, Reggio Calabria. «Per noi questa giornata è molto importante perché tutti cerchiamo verità e giustizia – dice -. Dopo 29 anni non sappiamo ancora perché è stato ucciso. Era uscito solo per fare una passeggiata». Roberta Congiusta, di Siderno, Reggio Calabria, è sorella di Gianluca e figlia di Mario. Il primo ucciso dalla ‘ndrangheta nel 2005, il secondo «dalla mancata giustizia – dice -. Mio padre è morto subito dopo la sentenza in Cassazione che ha assolto l’assassino per un vuoto legislativo. Essere qui è l’unico modo per farli continuare a vivere. La memoria è l’unica che lenisce questo senso di impotenza».
Dietro un lungo striscione con i colori arcobaleno sfilano giovani, cittadini, rappresentanti delle istituzioni, sacerdoti, sindacalisti. Emanuele, 18 anni, è arrivato a Roma con il gruppo scout Agesci Palestrina 1. «Siamo qui per unirci sotto un’unica bandiera, quella della pace e della lotta contro la mafia – dichiara -. Negli ultimi due anni abbiamo seguito un percorso su “Coraggio e libertà” che a fine dicembre ci ha portato in Sicilia, a Cinisi, dove abbiamo incontrato Giovanni Impastato, fratello di Peppino. Mi hanno colpito il suo coraggio e la sua voglia di continuare a combattere la mafia nonostante l’efferato omicidio del fratello».
Annachiara, 13 anni, dell’istituto comprensivo “Sylos” di Bitonto, regge con altre compagne uno striscione di due metri e mezzo con disegnati profili di volti femminili e la scritta “Le donne che hanno osato sfidare la mafia”. «A scuola abbiamo fatto una ricerca su Annunziata Pesce, figlia di un boss calabrese uccisa a 30 anni per aver avuto una relazione con un carabiniere. Voleva solo una vita diversa. Siamo qui per dare voce a tutte le donne vittime della mafia ». “No alla mafia che uccide nel mare dell’indifferenza” lo slogan scritto sullo striscione preparato dagli studenti del presidio scolastico “Emanuele Riboli” di Torino. Sono 44 i ragazzi arrivati a Roma questa mattina. In classe hanno iniziato un percorso sulla legalità ed «è importante vedere che non siamo soli a combattere contro la criminalità – afferma Sara, 17 anni -. La mafia non è radicata solo al sud, solo perché è nascosta non vuol dire che non esista ovunque». Le fa eco Simone, per il quale «va costruita una cultura di legalità in tutta Italia».
21 marzo 2024