Violenza contro le donne, lo spazio per la consapevolezza

Un’analisi del fenomeno. Chi arriva in consulenza spesso porta una varietà di bisogni e i fatti gravi emergono solo in un secondo momento

La prima rilevazione Istat sulla violenza contro le donne si è svolta nel 2006 e i dati pubblicati l’anno successivo hanno dato un primo spaccato di un fenomeno presente da sempre ma fino ad allora mai indagato approfonditamente e su così larga scala. Il primo dato rilevante emerso è che il fenomeno riguarda prevalentemente le relazioni, ovvero che ad agire violenza sono in primis partner o ex partner, parenti, amici, conoscenti, insomma, uomini con cui le donne hanno un rapporto quando non una relazione.

Da allora si inizia a parlare più frequentemente del fenomeno e a considerarlo non più un fatto privato o una forma generica di violenza, ma una forma di violenza specifica; parte dell’opinione pubblica riconosce le peculiarità della violenza contro le donne così come la sua pervasività e lo Stato italiano stesso ratifica nel 2013 la Convenzione di Istanbul in cui si esplicita «che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione», si definisce «la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere», riconoscendo «altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini».

Nell’esperienza di chi scrive, e come spesso avviene in consulenza, le motivazioni manifeste che portano le persone a rivolgersi al consulente lasciano spazio, con il susseguirsi dei colloqui, a ragioni altre. È così che i vissuti di violenza emergono, a volte con poca o del tutto assente consapevolezza da parte della persona circa la reale natura della sua esperienza, normalizzata perché facente parte del quotidiano e come unico espediente per sopravviverle; a volte con il timore di parlare inutilmente di qualcosa che appartiene al passato, ma che è ancora e sempre presente emotivamente, in altri casi, con la paura di non essere creduta o, ancora, di venire giudicata (la manipolazione operata da chi agisce violenza passa attraverso la colpevolizzazione della vittima che si sente responsabile delle violenze subite e allo stesso tempo in colpa per non riuscire a evitarle). In consulenza, dunque, arrivano spesso donne che portano una varietà di bisogni e non per parlare direttamente della violenza che emerge solo in un secondo momento.

Quando ciò avviene, il/la consulente familiare saprà operare una netta distinzione fra conflittualità e violenza e saprà farla comprendere alla donna. La conflittualità si configura come un contrasto o un fraintendimento dovuto, ad esempio, a divergenze valoriali o a incomprensioni caratterizzato comunque da una simmetria tra le parti, in cui non c’è prevaricazione; la violenza è invece «qualunque atto di violenza di genere, o la minaccia di tali atti, che produca, o possa produrre danni, sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che privata delle donne» (1993, Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla eliminazione della violenza contro le donne) e con ciò si intende, dunque, anche la violenza psicologica o economica, così come lo stalking.

Tenendo conto del fatto che ancora nel 2014 coloro le quali si rivolgevano a servizi specializzati a seguito di violenze erano il 4,9% (dato Istat), lo spazio della consulenza familiare può essere considerato verosimilmente un primo luogo di apertura, quello in cui la donna, accolta in uno spazio solo suo, può parlarne per la prima volta. Uno spazio prezioso che può dare luogo al germogliare della consapevolezza, grazie alla fiducia e all’alleanza fra cliente e consulente, attribuendo un nome a gesti e sentimenti, dove le responsabilità vengono assegnate a chi le ha, passando attraverso l’esplorazione e il riconoscimento dei propri bisogni, e maturando, in fine, delle scelte consapevoli seppure sofferte.

Nei casi in cui la cliente stia vivendo in condizioni di violenza, è di fondamentale importanza tenere presenti le ragioni che ne impediscono la fuoriuscita. La violenza agita dal partner presenta la peculiare caratteristica di essere attuata all’interno di una relazione di fiducia che comprende una scelta iniziale, una progettualità, e un legame che un tempo era stato e in molti casi è ancora, di amore. La difficoltà ad allontanarsi da un partner violento risiede proprio nel rapporto di intimità che si ha con chi agisce violenza e con le dinamiche stesse di questo tipo di reato che vede spesso alternarsi, circolarmente, fasi acute a fasi di remissione degli agiti violenti, confondendo la vittima. Quest’ultima porta in consulenza troppo spesso un’autostima intaccata dalla violenza psicologica, che può comprendere forme di svalutazione di varia forma e grado, comportamenti controllanti che ne limitano la libertà e minacce, prima fra tutte quella di portarle via i figli, lì dove ce ne siano.

L’intervento del o della consulente, improntato come sempre all’accoglienza e al riconoscimento del vissuto, sarà in questi casi anche volto a operare una valutazione del rischio per la donna e gli eventuali minori, indirizzandola a servizi specifici che affrontino la tematica nella sua complessità, dove la donna potrà trovare un’assistenza completa sotto tutti i punti di vista, non da ultima, e importantissima, la consulenza legale. Compito del/della consulente è infatti mettere chi si rivolge a noi nelle condizioni di trovare soluzioni autonome che in questo caso possono essere raggiunte solo a fronte di informazioni che richiedono l’intervento di competenze altre.

Il/la consulente può anche accompagnare, dunque, la cliente a comprendere l’importanza dei centri antiviolenza dove operatrici appositamente formate potranno prenderla in carico fornendole informazioni approfondite inerenti le varie possibilità che le si prospettano, che la sosterranno nell’elaborazione del vissuto e, sempre nel pieno rispetto della sua volontà, avvieranno con lei un progetto strutturato di fuoriuscita dalla violenza. (Titta Vinti, consulente della coppia e della famiglia).

4 dicembre 2020