Si avvia verso l’epilogo la vicenda di Vincent Lambert, francese, 42 anni, in stato vegetativo dal 2008 in seguito a un grave incidente stradale. Per lui già nel maggio scorso era stata decisa l’interruzione della nutrizione e dell’idratazione artificiali – che lo mantengono in vita -, evitata solo grazie all’intervento della Corte d’appello di Parigi, a cui si erano rivolti i genitori. Il tribunale aveva ordinato allo Stato francese di «adottare tutte le misure necessarie» per far rispettare quanto deciso il 3 maggio scorso dal Comitato Onu sui diritti delle persone con disabilità circa il mantenimento di alimentazione e idratazione.

Oggi, 2 luglio, la decisione comunicata ai familiari da parte del dottor Vincet Sanchez dell’ospedale CHU Sébastopol di Reims (Francia) di iniziare nuovamente il protocollo di sospensione dell’idratazione e della nutrizione per l’uomo, attualmente ricoverato nel nosocomio d’Oltralpe in stato di “coscienza minima plus” (sindrome della veglia non responsiva). Don Roberto Colombo, docente della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro della Pontificia Accademia per la vita, non ha dubbi: «Rappresenta un atto inaccettabile e gravissimo sul piano professionale medico, su quello del diritto internazionale e, ancor più, su quello umano».

A livello professionale, spiega don Colombo, «a ogni medico, qualunque sia la sua personale opinione, cultura, fede od orientamento sociale e politico, è chiesto di impegnarsi per guarire o riabilitare, quando ciò è possibile, il malato e, in ogni caso e circostanza, senza eccezione alcuna, di prendersi cura della vita del paziente attraverso il sostegno adeguato delle funzioni vitali essenziali per l’omeostasi del corpo, anche quando esso presenti disfunzioni che configurano un grave handicap fisico, cognitivo e relazionale». Lambert, precisa il sacerdote, «non sta morendo, non è un “malato terminale” né manifesta una sofferenza intrattabile. È un disabile motorio e neurologico, lungodegente, che non viene sottoposto ad alcun trattamento terapeutico che possa configurarsi come “accanimento”, come hanno stabilito i colleghi medici del dottor Sanchez ascoltati in sede di perizia clinica giudiziaria».

Ancora, sul piano del diritto, «sebbene la Cassazione francese si sia pronunciata pochi giorni fa in senso opposto alla sentenza della Corte d’Appello che aveva chiesto all’ospedale di Reims, il 20 maggio scorso, di sospendere il protocollo eutanasico già iniziato, resta tuttora aperto il ricorso presentato dai genitori di Vincent al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità». Per due volte, infatti, il Comitato di Ginevra aveva chiesto al governo francese, in base alla Convenzione internazionale sui diritti dei disabili ratificata anche dalla Francia, di non attuare la sospensione di idratazione e nutrizione in attesa di un esame approfondito del caso da parte del Comitato stesso e in base agli articoli della Convenzione. «Poiché non appare esservi nessuna urgenza o emergenza per l’attuazione del protocollo eutanasico», dato che «il paziente è in condizioni cliniche stabili e in Francia vi sono circa 150 centri attrezzati per curare malati nelle sue condizioni (oltre 1500 nella sola Repubblica Francese)», per don Colombo « la decisione di non attendere l’imminente pronunciamento del Comitato delle Nazioni Unite costituisce un arrogante e ingiustificato rigetto delle prerogative dei genitori di Vincent di adire a un giudizio superiore internazionale e della autorevolezza e del prestigio delle stesse Nazioni Unite».

Ultimo punto, «ma ancor più rilevante», con la decisione comunicata alla famiglia Lambert a essere «ferita e umiliata è l’umanità del medico che, come ogni altro uomo e donna, è chiamato a riconoscere nel volto di ogni sofferente, anche se incapace di comunicare direttamente o indirettamente il proprio pensiero e i propri sentimenti, il voto umano di un fratello e di una sorella, di uno o una come lui, il medico». In più, «per noi cristiani – aggiunge il sacerdote -, il volto dell’uomo sofferente riverbera il volto di Cristo stesso sofferente. Per questo la Chiesa alza forte e decisa la sua voce in difesa di ogni malato, qualunque siano le sue condizioni cliniche, perché non gli sia mai tolta la vita prima che la morte sopraggiunga per cause patologiche, indipendenti dalla volontà dei medici o dei congiunti. Per questo la Chiesa ribadisce – attraverso la voce del Papa e dei suoi pastori – il suo “no” senza condizioni all’eutanasia, anche quella per omissione delle cure appropriate dovute ad ogni malato».

2 luglio 2019