Vignarca: in Ucraina «serve conferenza di pace»

Per il coordinatore delle campagne della Rete Disarmo, «inviare armi non accelera la fine del conflitto, lo sta prolungando. Ricostruire sulle macerie non è opzione sostenibile»

A un anno dal primo anniversario dello scoppio del conflitto in Ucraina, e a pochi giorni dai nuovi impegni assunti nel vertice del gruppo di contatto per l’Ucraina a guida Usa che si è svolto il 20 gennaio nella base tedesca di Ramstein, Francesco Vignarca, coordinatore campagne della Rete italiana pace e disarmo, fa il punto, con l’Agenzia Dire. «Si può discutere se sia efficace o meno inviare armi all’Ucraina per sostenere la resistenza – afferma -, ma per noi resta chiaro un punto: non è vera la tesi dei governi occidentali secondo cui dare più armamenti a Kiev significa accelerare la fine di questo conflitto. Al contrario, come i fatti dimostrano, lo sta prolungando, con costi inimmaginabili per i civili e profitti enormi per le aziende produttrici di armi».

Nel dettaglio, proprio nel vertice di Ramstein il Pentagono ha annunciato oltre 2,3 miliardi di dollari in nuovi armamenti mentre Berlino ha promesso che ne stanzierà un miliardo. Il governo ucraino ha però fatto appello ai carriarmati, a cui ha risposto la Polonia promettendo i Leopard 2, di fabbricazione tedesca. Una mossa che non ha incontrato l’entusiasmo della Germania che, tuttavia, ha garantito che «non si opporrà» alle scelte di Varsavia.

Il 22 gennaio, ricorda Vignarca, ricorreva anche il secondo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw), la prima norma internazionale che dichiara illegali le armi atomiche, a cui però l’Italia non ha aderito assieme a Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, nonché tutti gli altri membri Nato ad eccezione dei Paesi Bassi. Ora, avverte, il rischio dell’uso di armi nucleari «è concreto e probabilmente sarà al centro della denuncia degli scienziati del Doumsday clock», “l’orologio dell’apocalisse” che anche quest’anno ha rivelato quanti minuti mancano, simbolicamente, alla fine dell’umanità: 90 secondi.

All’Agenzia Dire Vignarca rilancia quindi la proposta invocata dalla Rete e dagli oltre 600 organismi che hanno aderito alla piattaforma Europe for peace: «Serve una conferenza di pace. Non abbiamo in tasca la soluzione, certo, ma ricostruire sulle macerie non ci sembra un’opzione sostenibile». E ricorda che quella in Ucraina non è l’unica guerra: basti pensare alla Repubblica democratica del Congo e al Sud Sudan, che riceveranno a breve la visita di Francesco, ma anche a Siria, Yemen, Etiopia. Riportare pace nel mondo, per il coordinatore campagne della Rete italiana pace e disarmo, è un compito complesso che necessita di «impegni su più fronti, come quello umanitario: le associazioni di Europe for peace, infatti, non fanno solo chiacchiere, ma ogni giorno lavorano per portare aiuti alla popolazione in Ucraina, fino a Kherson».

Se è vero infatti che «assistiamo a tanta retorica sulla pace», è anche vero che «questa arriva soprattutto da quei Paesi che si affrettano a riarmarsi e che, di fatto, fanno gli interessi dell’industria bellica». Una corsa che, informa Vignarca citando una previsione della Foundation for Defense of Democracies’ Center on Military and Political Power, «potrebbe valere 23 miliardi di dollari di profitto ai produttori di armi americani». Tutto questo, prosegue ancora l’esperto, «resta in ombra» nel discorso mediatico e politico sulla guerra, ma risulterebbe evidente «anche osservando le scelte degli ultimi governi dell’Italia: con l’osservatorio Milex – riferisce a Dire – abbiamo calcolato un aumento di 800 milioni nel comparto militare, passato da 25,7 miliardi del 2022 a 26,5 previsti per il 2023. Di questi, 8,2 miliardi saranno spesi per nuovi armamenti. Negli ultimi cinque anni quindi si è quasi raddoppiata la quota per i sistemi d’arma e questo avvantaggia ovviamente l’industria. Denaro pubblico che invece si potrebbe investire nella scuola o nella sanità», rileva.

Stando alle stime di Milex di fine novembre, il conflitto armato in Ucraina sta costando all’Italia oltre 450 milioni di euro, secondo le valutazioni derivanti dal valore dichiarato delle cessioni e dal contributo italiano all’European Peace Facility (lo strumento europeo con cui tali invii di armi avranno copertura finanziaria), a cui si potrebbero aggiungere ulteriori costi di rifornimento  dei magazzini della Difesa.

25 gennaio 2023