Verso la crisi di governo

Il M5s sceglie di non votare il dl Aiuti, all’esame del Senato. Fallisce anche il tentativo di mediazione del ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà. Il premier Draghi: la fiducia, unica via percorribile

Il Movimento 5 stelle ha deciso di non votare il decreto Aiuti, questa mattina, 14 luglio, all’esame del Senato. Lo ha annunciato ieri sera il leader Giuseppe Conte, aprendo l’assemblea congiunta dei parlamentari M5s, mettendo di fatto il governo a un passo dalla crisi. È fallito anche il tentativo di mediazione del ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che ha proposto di evitare la fiducia sul provvedimento votando invece articolo per articolo: il presidente del Consiglio Mario Draghi ha indicato la richiesta di fiducia come unica via percorribile.

Una decisione sofferta, quella del M5s, che potrebbe aprire a ulteriori strappi interni, sancendo la rottura netta con il governo Draghi. Il premier infatti avrebbe ribadito direttamente a Conte, nel corso di una telefonata, che senza un appoggio chiaro l’esperienza del governo è da considerarsi finita. «I dirigenti M5S stavano pianificando da mesi l’apertura di una crisi per mettere fine al governo Draghi – sentenzia l’ex pentastellato Luigi Di Maio -. Sperano in 9 mesi di campagna elettorale per risalire nei sondaggi, ma così condannano solo il Paese al baratro economico e sociale. Non potevamo essere complici di questo piano cinico e opportunista, che trascina il Paese al voto anticipato e al collasso economico e sociale», commenta il titolare della Farnesina.

L’ex premier Conte, da parte sua, rivendica al Movimento il ruolo di «unica forza politica che sta incalzando il governo sulle emergenze», sottolineando anche l’importanza del Reddito di cittadinanza: «Non permetteremo mai che venga smantellato», ha avvertito. Sentito il presidente del Consiglio – irremovibile sulla sua posizione: o dentro o fuori dal governo -, avrebbe chiosato al termine del colloquio: «Farò quello che posso», riferiscono in ambienti parlamentari. Davanti al rischio di spaccare senza ritorno il Movimento, chiedendo ai suoi di votare sì al dl Aiuti a Palazzo Madama, ha vinto quindi la decisione di assecondare la frangia che ormai da giorni preme per consumare una rottura definitiva con Palazzo Chigi.

Il segretario del Pd Enrico Letta, riconoscendo una «svolta» nell’azione del governo che «sarebbe paradossale mettere a rischio ora», afferma che da parte dei democratici non ci sono ricatti ma se il M5s fa cadere il governo «si va al voto». In Parlamento «diremo che siamo disponibili a una continuazione di questo governo Draghi, non siamo disponibili a tirare avanti chicchessia: se non ci saranno le condizioni, se altri partiti della maggioranza si sfileranno, allora la parola passerà agli italiani e noi saremo pronti ad andare di fronte agli italiani con il nostro progetto per il futuro dell’Italia». Una maggioranza senza il M5s, ha aggiunto, «a me sembra un’ipotesi totalmente improbabile. Dopodiché il Parlamento è sovrano, quindi ascolteremo tutti». E se dal centrodestra arrivano diverse voci favorevoli alla crisi, già dentro la Lega non mancano posizioni più prudenti mentre da Forza Italia prima Silvio Berlusconi e poi Antonio Tajani si dicono convinti che «anche senza il M5S i numeri ci siano per continuare».

Dalla società civile, intanto, arriva l’appello delle Acli al premier e ai Cinquestelle: «Chiediamo a Giuseppe Conte e al suo gruppo parlamentare di votare la fiducia, ma allo stesso tempo chiediamo al presidente del Consiglio Mario Draghi di cambiare rotta. In questo momento non è interesse del Paese che si vada a una crisi di governo e occorre la responsabilità di tutti, partendo da chi guida il Consiglio dei ministri, ma anche da chi detiene una significativa forza in Parlamento». Nell’analisi dell’associazione, «il Movimento Cinquestelle ha posto una serie di questioni a cui bisogna far fronte perché vanno a toccare alcune criticità che devono essere affrontate nell’impianto complessivo del Pnrr, nel quale la questione sociale è intesa solo in ottica emergenziale, sottovalutando l’esplosione delle disuguaglianze e della povertà in larghi settori della nostra società. La stessa questione del Reddito di cittadinanza – aggiungono – deve essere condotta avendo ben chiaro che il nostro non può essere l’unico Paese europeo privo di una misura strutturale contro la povertà». E ancora: «Occorre mettere mano in modo sistematico, con una programmazione decennale dei fondi dedicati, a realizzare i livelli essenziali delle prestazioni essenziali definiti dalla Costituzione in tema di politiche attive del lavoro, asili nido, non autosufficienza – proseguono -. Come è noto, i servizi sociali e i servizi per il lavoro e la formazione professionale non sono omogeneamente presenti su tutto il territorio nazionale, ed è evidente che senza di essi nessun percorso di inclusione è possibile. In ogni caso – è la conclusione -, se si aprisse una crisi, confidiamo che ancora una volta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella possa trovare una soluzione».

14 luglio 2022