Verso il referendum/8. Roberto Rossini: «”Sì” per non fermare le riforme»

Il presidente delle Acli: «Il mondo cambia e anche le istituzioni possono e devono cambiare». Il voto al testo Boschi? «7+»

Il presidente delle Acli: «Il mondo cambia e anche le istituzioni possono e devono cambiare». Il voto al testo Boschi? «7+»

Il presidente delle Acli Roberto Rossini commenta la riforma della Costituzione e parla di direttrici di fondo «positive e condivisibili, anche se sarà poi necessario proseguire con una manutenzione costituzionale». L’invito, dunque, a votare sì, «per non fermare una stagione di riforme», alla quale è chiamato il governo Renzi

Quale è lo stato di salute della nostra Costituzione? Porta ancora bene gli anni che ha o le occorre un restyling?
Non vi sono dubbi sull’attualità della prima parte della Costituzione, che nei suoi principi fondamentali definirei la “carta d’identità” della nostra Repubblica, ma certamente la seconda ha bisogno di una robusta manutenzione. Un atteggiamento di ostinata opposizione a ogni forma di cambiamento, anche della sua parte “organizzativa”, non è solo anacronistico ma controproducente proprio per la salvaguardia dei principi e dei valori fondamentali della Costituzione stessa. Il mondo cambia e anche le istituzioni possono e devono cambiare, se non vogliamo che la politica si trasformi in antipolitica.

Obiettivo della riforma è il superamento del bicameralismo perfetto: occorre davvero? Cosa accadrà all’iter legislativo? Le nostre leggi saranno meno equilibrate?
La successione dei tentativi volti a superare il bicameralismo paritario denuncia tutta l’insoddisfazione, a iniziare dagli stessi padri costituenti, per il bicameralismo delineato dalla Costituzione: due Camere, entrambe elette direttamente, con le stesse funzioni e tutti gli appesantimenti in termini economici, politici e temporali che tale duplicato comporta. Faccio un esempio concreto: è attualmente in esame al Senato il provvedimento sul reddito d’inclusione, già approvato a luglio dalla Camera dei deputati. Probabilmente, nel corso della discussione verranno apportate delle modifiche e il provvedimento dovrà tornare alla Camera, allungando i tempi e costi dell’iter legislativo. Di fatto, il bicameralismo perfetto in questi anni ha impedito al Parlamento di esercitare pienamente la funzione legislativa, consegnandola al Governo con la decretazione d’urgenza.

Il Senato “ridotto” farà risparmiare lo Stato e dovrebbe fungere da raccordo tra Stato, Regioni e Comuni. Potrà proporre leggi ed emendamenti ma la Camera non avrà l’obbligo di prendere in considerazioni i suoi rilievi. Di fatto sarà un organo “svuotato” per alcuni aspetti ma per alcuni tipi di legge dovrà votare paritariamente insieme alla Camera. Funzionerà meglio? In che modo “raccorderà” Stato, Regioni e Comuni? Con quali vantaggi?
Il Senato, configurato ora come sede della rappresentanza territoriale, dovrebbe acquisire una propria specificità, svolgendo un ruolo di raccordo tra Stato, autonomie locali e Unione europea, ma anche di controllo e di valutazione delle politiche pubbliche e di verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori (art. 55 Cost.). Più incerta appare invece la composizione del Senato: per coerenza con la sua funzione avrebbe dovuto essere composto dai presidenti delle giunte e da sindaci. Invece i senatori, per come saranno eletti, avranno una duplice e contrapposta rappresentatività: da un lato territoriale e dall’altro politico-partitica.

A proposito del Titolo V: molte materie passerebbero alla competenza esclusiva dello Stato ma su alcune la definizione dei ruoli non è nettissima. Penso alla sanità: le Regioni hanno in capo l’organizzazione dei servizi, uno dei punti dove maggiormente è tangibile, ad esempio, la diseguaglianza tra nord e sud nell’accesso ai servizi. Come valutiamo la riforma dal punto di vista dell’autonomia delle Regioni?
La riforma rivede le competenze legislative tra Stato e Regioni con il fine di eliminare o per lo meno ridurre i contenziosi che hanno minato la certezza della legislazione, l’efficacia e l’unitarietà delle politiche pubbliche. È sicuramente apprezzabile il tentativo di una ripartizione più razionale ma sembra mancare un vero e proprio scenario nel progetto di riordino delle competenze di tutti i soggetti territoriali.

Il referendum abrogativo prevederà un quorum ridotto mentre per proporre leggi di iniziativa popolare le firme necessarie saranno triplicate, da 50 a 150mila. Da una parte sarà più facile dire “no”, ma dall’altra non si rischia di scoraggiare l’interesse per la politica?
In realtà gli istituti di democrazia partecipativa quali le leggi d’iniziativa popolare – con la garanzia costituzionale a essere discusse in Parlamento -, l’introduzione del referendum propositivo e di quello d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, sembrano essere rafforzati dall’articolo 71. Sono, infatti, tutti strumenti che la Costituzione prevede per favorire la partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali alla determinazione delle politiche pubbliche.

Qualcuno, a proposito dello scenario prospettato da questa riforma, parla di “strapotere” del governo (penso al commissariamento degli enti locali e alla cosiddetta “clausola di supremazia” rispetto alle materie di competenza regionale). Potrebbe essere così?
La riforma introduce alcuni limiti alla possibilità di adottare decreti legge da parte del governo, di cui comunque non si altera la natura parlamentare. Piuttosto, il fatto che la fiducia venga espressa da una sola Camera, superando l’instabilità derivante da possibili diverse maggioranze nei due rami del Parlamento, ne dovrebbe rendere più trasparente l’azione.

Soppressione del Cnel: cosa ne pensa?
Certamente andava riformato, ma dispiace perché rappresenta l’unica istituzione dove la società civile organizzata si può esprimere con dignità costituzionale. Nel disegno originario della riforma, anche in conseguenza della soppressione del Cnel, era prevista una significativa rappresentanza della società civile. Questa rappresentanza è poi venuta meno nella discussione parlamentare della riforma della Costituzione. Mi auguro, dunque, che la legislazione successiva e la riforma dei Regolamenti, soprattutto per attuare gli articoli 55 e 71 della Costituzione, prevedano forme e luoghi permanenti di partecipazione e di consultazione dei soggetti sociali. Ritengo che si potrebbe aprire una stagione interessante per ridefinire e praticare in termini nuovi la sussidiarietà verticale e orizzontale, valori anch’essi costituzionalmente garantiti in una visione poliarchica del Paese.

Riassumendo: quali sono i lati positivi della riforma Boschi? Quali invece le criticità e i rischi? Riusciamo a dare un voto?
Premesso che per un insegnante è sempre difficile dare un voto, sono però dello stesso parere della collega Annamaria Furlan che ha promosso la riforma con un 7 più, ricordando che «a inseguire il dieci a volte si finisce a mani vuote»”. Le direttrici di fondo della riforma sono, infatti, positive e condivisibili, anche se sarà poi necessario proseguire con una manutenzione costituzionale, dal momento che la riforma si completa con il rimando a successive norme di varia natura: costituzionale, legislativa, regolamentare, amministrativa. Sono numerosi gli adempimenti che prevedono atti successivi senza che però siano fissati tempi certi di deliberazione. Confido che i partiti si assumano sin d’ora l’impegno di farlo entro la scadenza di questa legislatura. Ciò premesso, è necessaria una riforma dell’Italicum, perché una legge elettorale non può limitarsi a garantire una pur necessaria governabilità. Altra riforma urgente è quella dei partiti, essenziale per tenere in vita la democrazia, renderla ancora interessante, stimolante, pulita.

Perché un elettore dovrebbe votare sì?
La riforma è molto ampia e certamente qualcosa si sarebbe potuto fare meglio, ma una vittoria del “sì” potrà permettere il proseguimento di una stagione di riforme. Il governo Renzi – che nasce con l’obiettivo di fare le riforme – potrà anche “non piacere”, ma in questo momento c’è bisogno di stabilità, responsabilità e innovazione. Un esito negativo della consultazione quasi certamente inciderà sulla spinta riformatrice, rimandando a data da destinarsi una stagione che, dagli anni ‘90 in poi, ha chiesto alla politica di cambiare i propri schemi. La politica è imprevedibile, ma ragionevolmente una vittoria del “no” rischia di esaurire una volontà.

4 novembre 2016