Verso il referendum/6. Carlo Costalli: La riforma, soluzione pasticciata

Per il presidente del Movimento cristiano lavoratori il testo in discussione sacrifica la rappresentanza in nome della governabilità. Inevitabile il “no”

Per il presidente del Movimento cristiano lavoratori il testo in discussione sacrifica la rappresentanza in nome della governabilità. Inevitabile il “no”

Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori, fa il punto sui limiti della riforma su cui si voterà il 4 dicembre. Tra le ragioni per votare “no”, l’ndirizzo centralista che «riduce drasticamente gli spazi di sussidiarietà e federalismo».

Quale è lo stato di salute della nostra Costituzione? Porta ancora bene gli anni che ha o le occorre un restyling?
Non sono tra le persone che affermano che la nostra Costituzione siala più bella del mondo”, ritenendola una valutazione di carattere politico-ideologico. Sono aperto a un aggiornamento della Costituzione, ma che sia una riforma complessiva e, soprattutto, condivisa.

Obiettivo della Riforma è il superamento del bicameralismo perfetto: occorre davvero? Cosa accadrà all’iter legislativo? Le nostre leggi saranno meno equilibrate?
Il bicameralismo deve essere superato, ma la soluzione che emerge dalla riforma è pasticciata e ingarbugliata, destinata a creare molti più problemi piuttosto che risolverli e a complicare l’iter legislativo. Il Parlamento in questo decennio è stato il garante di un dibattito vero e serio, anche sui temi della famiglia e della vita. Con questa riforma un Parlamento monocamerale, senza altri contrappesi democratici, avrà il potere assoluto di smantellare ogni legge senza dover tenere conto del dibattito tra le forze politiche e sociali. La principale giustificazione di questa riforma è il decisionismo, ma questo può rappresentare al massimo una modalità operativa, mai la motivazione politica di un sistema rappresentativo, se non a prezzo della sottovalutazione della democrazia intesa come partecipazione. Impostare e giustificare una riforma costituzionale su tali elementi è una forzatura priva di radici culturali e di valori sociali, cioè di motivazioni che si riferiscono all’altro elemento che ne è il presupposto: la rappresentanza, sacrificata in nome della governabilità.

Il Senato “ridotto” farà risparmiare lo Stato e dovrebbe fungere da raccordo tra Stato, Regioni e Comuni. Potrà proporre leggi ed emendamenti ma la Camera non avrà l’obbligo di prendere in considerazioni i suoi rilievi. Di fatto sarà un organo “svuotato” per alcuni aspetti ma per alcuni tipi di legge dovrà votare paritariamente insieme alla Camera. Funzionerà meglio? In che modo “raccorderà” Stato, Regioni e Comuni? Con quali vantaggi?
Il risparmio, fin troppo enfatizzato, risulta assai limitato, tra l’altro proposto da un governo che non è stato in grado di operare una vera spending review. Innanzitutto, credo che la scelta di un Senato non elettivo sia un grave errore. Il Senato, anziché essere espressione della volontà popolare, rappresenterà quella dei vertici politico-istituzionali delle Regioni. Così il peso della volontà popolare sarà ridotto e indebolito, considerando anche che la riforma triplicherà da 50mila a 150mila le firme necessarie per i disegni di legge di iniziativa popolare. Saranno inevitabili conflitti di competenza tra Stato e Regioni e tra Camera e nuovo Senato, si rafforzerà il potere centrale a danno delle autonomie che, per di più, verranno private di mezzi finanziari. Tutto questo non serve né alla semplificazione, né tanto meno alla riduzione dei costi della politica.

A proposito del Titolo V: molte materie passerebbero alla competenza esclusiva dello Stato ma su alcune la definizione dei ruoli non è nettissima. Penso alla sanità: le Regioni hanno in capo l’organizzazione dei servizi, uno dei punti dove maggiormente è tangibile, ad esempio, la diseguaglianza tra nord e sud nell’accesso ai servizi. Come valutiamo la Riforma dal punto di vista dell’autonomia delle Regioni?
Le revisione del Titolo V, assolutamente necessaria per le ambiguità contenute nella riforma precedente, propone un indirizzo centralista che riduce drasticamente gli spazi di sussidiarietà e federalismo, con l’inserimento della clausola di “supremazia” statale che consentirà allo Stato di approvare leggi anche nelle materie di competenza regionale, oltre alle aumentate materie esclusive statali. Particolarmente grave per ciò che mi riguarda è la ricentralizzazione delle politiche sociali, la cui applicazione non può non far riferimento al territorio e alle articolazioni intermedie. Ancora una volta non si ha avuto il coraggio di una definizione chiara del federalismo responsabile.

Qualcuno, a proposito dello scenario prospettato da questa riforma, parla di “strapotere” del governo: penso al commissariamento degli enti locali e, ppunto, alla cosiddetta “clausola di supremazia” rispetto alle materie di competenza regionale. Potrebbe essere così?
Come ho detto prima, in nome del decisionismo si tagliano alcuni elementi della rappresentanza e della partecipazione con il rischio di innestare un percorso a-democratico che espone a un potere di tipo accentrato e di vertice. Il popolarismo non può farsi contaminare da tali disvalori. Il decisionismo non è mai appartenuto alla cultura e alla sensibilità cattolica che, invece, possiede ben altri valori che, attraverso l’impegno politico, sono stati introdotti nelle istituzioni italiane e nella stessa Carta Costituzionale vigente. Questa riforma è stata condotta, anche nel metodo, evitando il più possibile il confronto, il dialogo, il riferimento all’interesse comune: tutti concetti che la cultura neoilluminista tenta di emarginare per sostituirli con una esigenza di governabilità spesso priva delle necessarie radici di consenso.

Soppressione del Cnel: cosa ne pensa? 
L’eliminazione del Cnel, perfettamente in linea con le azioni di questo governo, taglia una sia pur insufficiente rappresentanza sociale, mostrando una totale indifferenza per il ruolo istituzionale dei corpi intermedi.

Perché un elettore dovrebbe votare no?
Dovrebbe votare no per bloccare questa nuova idea di gestione politica dello Stato, ma anche le nuove concezioni di persona, società, libertà, sussidiarietà e soprattutto bene comune che vi sono implicate, e che prospettano l’apposizione di enormi tare sulle garanzie costituzionali e sullo stesso funzionamento della democrazia italiana, cancellando con un colpo di spugna l’essenziale principio di rappresentanza popolare.

28 ottobre 2016