Verso il referendum/12. Ugo De Siervo: «Normativa confusa, ricca di errori»

Il giurista boccia la riforma Boschi: «Occasione persa». Il risparmio? «Uno specchietto per le allodole». Regionalismo «stravolto»

Il giurista boccia la riforma Boschi. La storia del risparmio? «Uno specchietto per le allodole». Regionalismo «stravolto»

Ugo De Siervo, già presidente della Corte costituzionale, “boccia” la Riforma: «Non è affatto vero che sia il bicameralismo a ritardare l’adozione delle leggi», spiega, e la storia del risparmio «è uno specchietto per le allodole: molto di più si sarebbe potuto risparmiare con una semplice legge ordinaria di riduzione delle indennità e dei vitalizi di tutti i parlamentari». Secondo il giurista il nuovo Senato sarà caratterizzato da una «incerta e mediocre composizione» e il regionalismo verrà «stravolto a favore della rinascita di uno Stato accentrato, mentre invece si assicurano alle Regioni speciali ulteriori inammissibili privilegi». Il tutto in una normativa «confusa e ricca di errori e contraddizioni».

Quale è lo stato di salute della nostra Costituzione? Porta ancora bene gli anni che ha o le occorre un restyling?
Le Costituzioni, se vitali, vivono sul medio-lungo periodo, dal momento che sono originate dal bisogno di individuare e garantire principi e regole comuni tendenzialmente permanenti. Ciò non esclude la necessità di revisioni costituzionali, ma evidentemente queste devono essere migliorative e non contradditorie o errate. Nel nostro Paese si è fatto ricorso non di rado a revisioni costituzionali (16 volte, oltre a 20 adozioni o revisioni di speciali leggi costituzionali) e solo in tre casi di revisioni di particolare ampiezza (nel 2001, nel 2005 e ora) si è discusso vivacemente dell’opportunità delle revisioni adottate dal Parlamento, tanto da respingere mediante il referendum del 2006 la grande revisione costituzionale adottata l’anno precedente. La nostra Costituzione si è dimostrata vitale e capace di accompagnare il Paese nelle profonde trasformazioni successive alla seconda guerra mondiale, anche se ovviamente sono emersi alcuni limiti e problemi. Occorre però denunziare la tendenza dei sistemi politici che siano in difficoltà e incapaci di riformarsi – come al momento attuale – ad addebitare le negatività esistenti a presunti difetti costituzionali, largamente esagerati. Quindi alcune specifiche riforme possono anche essere condivise, ma non certo il tentativo di riformare malamente, e con maggioranze spesso esili, grandi e importantissime parti della Costituzione (il Parlamento e il sistema delle autonomie territoriali), per di più da parte di un Parlamento dalla problematica rappresentatività e caratterizzato dal trasformismo.

Obiettivo della riforma è il superamento del bicameralismo perfetto: occorre davvero? Cosa accadrà all’iter legislativo? Le nostre leggi saranno meno equilibrate?
Chiariamo anzitutto che alcune motivazioni addotte per criticare l’attuale bicameralismo sono addirittura false: in particolare non è affatto vero che sia il bicameralismo a ritardare l’adozione delle leggi, dal momento che vi sono casi clamorosi di leggi adottate in pochi giorni da Camera e Senato. I ritardi legislativi dipendono dalla mancanza di posizioni chiare nei diversi gruppi parlamentari e nelle coalizioni di governo, che di volta in volta si avvalgono delle varie articolazioni dei procedimenti, monocamerali o bicamerali che siano. Può esser opportuno trasformare il Senato in una “Camera delle Regioni”, al fine di affiancare alla Camera dei deputati, troppo spesso interprete delle concezioni accentratrici che derivano dai ministeri e dalle relative burocrazie, un ramo del Parlamento che tuteli lo spirito autonomistico. Ma allora il Senato deve essere riconfigurato come un organo autorevole ed efficace, dotato di poteri sufficienti. Invece dal testo adottato uscirebbe un organo poco rappresentativo sia del corpo elettorale che delle realtà territoriali, composto da senatori che potrebbero lavorare solo per periodi brevissimi su molteplici materie eterogenee e che soprattutto sarebbero esclusi proprio dai settori nei quali dovrebbero tutelare concretamente le autonomie regionali e locali, invece affidati alla Camera dei deputati.

Il Senato “ridotto” infatti farà risparmiare lo Stato e dovrebbe fungere da raccordo tra Stato, Regioni e Comuni. Potrà proporre leggi ed emendamenti però la Camera non avrà l’obbligo di prendere in considerazioni i suoi rilievi. Di fatto sarà un organo “svuotato” per alcuni aspetti anche se per alcuni tipi di legge dovrà votare paritariamente insieme alla Camera. In che modo “raccorderà” Stato, Regioni e Comuni? Con quali vantaggi?
Già ho detto che purtroppo questo nuovo Senato, non più elettivo, non ha le caratteristiche né i poteri per rappresentare davvero le istanze e i valori dei territori all’interno del Parlamento. Inoltre vi sono alcune strane contraddizioni: ad esempio, il Senato non esprimerebbe più la fiducia al Governo ma fra le sue poche funzioni legislative “piene” ve ne sono alcune ad alto tasso politico (si pensi alla necessità del suo assenso alle trasformazione dei trattati dell’Unione europea) e addirittura esso disporrebbe di importanti poteri di controllo sull’attività governativa. Ma soprattutto: per cercare di garantire al Senato di prender parte alle procedure legislative, il procedimento legislativo nazionale verrebbe straordinariamente complicato, con il rischio conseguente di moltiplicare le conflittualità dinanzi alla Corte costituzionale. Quanto ai presunti risparmi, si tratta davvero di uno “specchietto per le allodole”: molto di più si sarebbe potuto risparmiare con una semplice legge ordinaria di riduzione delle indennità e dei vitalizi di tutti i parlamentari.

A proposito del Titolo V: molte materie passerebbero alla competenza esclusiva dello Stato ma su alcune la definizione dei ruoli non è nettissima. Penso alla sanità: le Regioni hanno in capo l’organizzazione dei servizi, uno dei punti dove maggiormente è tangibile, ad esempio, la diseguaglianza tra nord e sud nell’accesso ai servizi. Come valutiamo la riforma dal punto di vista dell’autonomia delle Regioni?
Purtroppo la riforma costituzionale, mentre non elimina tutti i difetti della riforma costituzionale del 2001, compie la scelta discutibilissima di ridurre in modo drastico e generalizzato quasi tutti i poteri delle Regioni ordinarie, quali ad esse attribuiti fino dal 1948, così ponendo le premesse di un riaccentramento generalizzato dei poteri che sono attualmente delle autonomie territoriali e di un parallelo enorme recupero di potere da parte delle burocrazie ministeriali. Tutto ciò, per di più, invece salvaguardando integralmente i poteri ed i privilegi delle cinque Regioni “speciali” (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto Adige, Friuli, Valle d’Aosta), malgrado tutte le diffuse critiche ad esse. Anzi, si è addirittura garantito a queste Regioni, già molto largamente rappresentate nel nuovo Senato, che le future modificazioni dei loro statuti potranno avvenire solo con il loro consenso. Quanto alla sanità, già ora lo Stato ha tutti i poteri (ove sappia e voglia usarli davvero) per garantire l’eguaglianza sostanziale del servizio sanitario per tutti i cittadini. Peraltro è in parte ineliminabile una parziale diversità nell’erogazione di un servizio del genere da parte di una necessitata grande pluralità di servizi e di organizzazioni presenti sul territorio.

Il referendum abrogativo prevederà un quorum ridotto mentre per proporre leggi di iniziativa popolare le firme necessarie saranno triplicate, da 50 a 150mila. Da una parte sarà più facile dire “no”, ma dall’altra non si rischia di scoraggiare l’interesse per la politica?
Probabilmente questa parte della riforma presenta minori difetti di altre, anche se le innovazioni deliberate sono tutte opinabili.

Qualcuno, a proposito dello scenario prospettato da questa riforma, parla di “strapotere” del governo (penso al commissariamento degli enti locali e alla cosiddetta “clausola di supremazia” rispetto alle materie di competenza regionale. Potrebbe essere così?
Mentre affermazioni critiche generali mi sembrano spiegabili solo con la considerazione critica riferita alla nuova legge elettorale per la Camera, di per sé estranea alla riforma costituzionale, non poche delle innovazioni “minori” spingono in direzione di un accrescimento dei poteri del governo. In particolare segnalo che un forte processo di riaccentramento dei poteri dalle autonomie territoriali ai ministeri accresce molto i poteri del governo.

Soppressione del Cnel: cosa ne pensa?
Di per sé non vi è motivo per dissentire dalla soppressione di un organo che ha dato prolungata prova di una sua cattiva funzionalità. Certo rimane l’esigenza che si creino procedure od organi che possano garantire nel futuro un confronto efficace fra il sistema politico e le forze rappresentative del pluralismo sociale.

Riassumendo: quali sono i lati positivi della riforma Boschi? Quali invece le criticità e i rischi? Riusciamo a dare un voto?
Purtroppo mi sembra un’occasione perduta per migliorare il nostro sistema: a poche innovazioni che possono essere condivise corrispondono errori gravi e che possono produrre danni seri e permanenti al nostro assetto costituzionale. Quindi il voto sarebbe decisamente negativo.

Perché un elettore dovrebbe votare no?
Essenzialmente perché si sostituisce l’attuale Senato con un organo non elettivo e dalla incerta e mediocre composizione, chiamato a esercitare confuse funzioni, tali da peggiorare decisamente lo stesso procedimento legislativo nazionale; in secondo luogo il nostro regionalismo viene stravolto a favore della rinascita di uno Stato accentrato, mentre  si assicurano alle Regioni speciali ulteriori inammissibili privilegi. Il tutto in una normativa confusa e ricca di errori e contraddizioni.

18 novembre 2016