Verso il Giubileo: la «responsabilità educativa» della speranza
Nella sede romana di Libera, il convegno con l’intervento di don Ciotti. «Inventarci di tutto per ridare dignità alle persone». Luigina Di Liegro: «Mio zio, costruttore di pace»
Speranza chiama speranza. Perciò non va nascosta, ma portata alla luce attraverso un impegno collettivo. Perché già c’è, ma troppo spesso viene offuscata. Solo in questo modo potrà essere moltiplicata per raggiungere tutti e ognuno durante il Giubileo. È il cuore del messaggio di don Luigi Ciotti, che è intervenuto venerdì, 15 novembre, al convegno “Libera la speranza”. Un’iniziativa di confronto in vista dell’Anno Santo, che si è tenuta nella sede romana di Libera, l’associazione contro le mafie fondata dal sacerdote. A moderare l’incontro il giornalista di Avvenire Toni Mira.
Ciotti ha sottolineato che troppo spesso «non si fa conoscere a sufficienza il bene che già c’è. Questa è una responsabilità educativa – ha detto -, perché in ogni città c’è già dentro una città di speranza da mostrare e da incoraggiare». Da qui il collegamento al Giubileo, che «deve insegnarci la virtù rara della pazienza, perché non tutto è semplice e immediato». Il messaggio contenuto nella Bolla giubilare, ha aggiunto, «è un invito alla speranza e a trovare nella fede la fiducia e l’ottimismo necessari per affrontare non solo il presente, ma anche il futuro». Ciotti ha poi parlato del simbolo inserito nel logo dell’Anno Santo, l’àncora. Che non «esprime soltanto un punto fermo e stabile, ma rappresenta anche quell’ancora al quale siamo chiamati dai nostri impegni».
In questo senso, ha spiegato il sacerdote, «la speranza cristiana, che è radicata nella dimensione della vita eterna, deve manifestarsi anche nelle piccole scelte quotidiane». Ha così invitato a «costruire un mondo dove l’amore sia inseparabile dalla giustizia» e a edificare una società con meno “io” e più “noi”. «Che senso ha sperare nella risurrezione – si è chiesto – se sulla terra non siamo capaci di far risorgere chi vive oppresso dall’ingiustizia, dalla paura e dalla povertà? Dobbiamo inventarci di tutto per ridare dignità alle persone, con pazienza e segni concreti di speranza». Perciò, ha concluso, è fondamentale il pellegrinaggio, «che è ristoro per l’anima», il sacramento della riconciliazione, «del quale abbiamo tanto bisogno», e infine la preghiera, «il luogo di Dio nello spazio degli uomini, dove nasce la speranza».
In apertura dell’incontro l’introduzione di don Francesco Pesce, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale, del lavoro e cura del Creato. «La speranza, esattamente come la fede, è concretezza – ha detto -. Perché entra dentro e si ribella alla realtà, la contesta e quindi la cambia. Nel Padre Nostro diciamo “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, che non ha a che fare soltanto con il pane di tutti i giorni – ha spiegato -, ma indica il pane reale: quello che c’è nella strada, nelle chiese, nelle case e nei luoghi di lavoro». Tutto questo, ha concluso Pesce, si declina nel Giubileo, «con i piccoli gesti concreti indicati dal magistero di Papa Francesco, che possono veramente modificare la storia».
Oliviero Bettinelli, componente della segreteria di Libera Lazio, ha invece invitato a vivere della speranza la sua dimensione nomade. Come Abramo, che «parte, non sa dove va, ma parte – ha sottolineato -. Comprende che non è più questo il luogo della salvezza, ma quello che gli indicherà Dio. Lascia tutto e si affida al Signore». Solo così, ha aggiunto, «possiamo affrontare un Giubileo della speranza con una convinzione che nasce dalla nostra dimensione di fede». Per Bettinelli, come ha capito il patriarca dell’Antico Testamento, «non possiamo più stare in una dimensione simile: con queste relazioni, con questo rancore, con questa rabbia e violenza». Ma «dobbiamo fidarci di Lui e incamminarci verso un’altra terra».

Chi ha dedicato la sua intera vita alla speranza è stato don Luigi Di Liegro. Di lui ha parlato sua nipote, Luigina Di Liegro, segretario generale della Fondazione intitolata proprio al fondatore della Caritas diocesana. «Mio zio – ha detto – è stato un costruttore di pace, fede, ma soprattutto di speranza. Il suo opposto è la disperazione che, come cristiani, dovremmo provare a ribaltare». Di Liegro ha parlato soprattutto del «disagio psichico, in forte aumento. C’è una grande impennata nei nostri giovani – ha sottolineato -. È una vera e propria pandemia. Questa disperazione chiama tutti a trovare strumenti e a investire nella formazione» Perché, ha concluso, «si può agire nel sociale solo se si conoscono a fondo i problemi».
Tra i segni di speranza emersi nel convegno, la Cooperativa Sociale “Al di là dei Sogni” a Sessa Aurunca, un’esperienza di riscatto sociale all’interno di un bene confiscato alla camorra, della quale ha parlato Marco Marcocci, presidente di Confcooperative Lazio. Che ha sottolineato la «necessità di una dimensione profonda del noi». In questa direzione, ha esortato, «dobbiamo promuovere modelli di lavoro che partano dai giovani. Una responsabilità che non possiamo non assumerci. Abbiamo solo un modo – ha concluso – per combattere la paura: affidarci alla speranza, che ha bisogno di comunità, fede e giustizia. Ma anche di un’azione che la accompagni».
18 novembre 2024