Verso Cop29, Amnesty: «Garantire finanziamento climatico equo»

A Baku (Azerbaigian) dall’11 al 22 novembre la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L’appello dell’organizzazione all’«abbandono totale dei combustibili fossili»

Dare ascolto alle richieste di giustizia climatica, mettendo i diritti umani al centro di ogni decisione e impegnandosi ad aumentare significativamente il finanziamento per il clima sulla base dei bisogni reali. Questa la richiesta che arriva da Amnesty International ai leader che dall’11 al 22 novembre saranno a Baku, in Azerbaigian per la Cop29, la Conferenza quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Sottolineata anche l’importanza di una eliminazione dell’uso dei combustibili fossili che sia definitiva, rapida, equa e finanziata in tutti i settori.

Nelle parole della segretaria generale Agnes Callamard, «la crisi climatica globale rappresenta la più grande minaccia per tutti e tutte. Il rapporto annuale sulle emissioni del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ha rilevato che, senza cambiamenti significativi, il mondo si avvia verso un aumento catastrofico della temperatura compreso tra 2,6 e 3,1 °C entro la fine del secolo. Se non agiamo oggi in modo audace, deciso e collettivo, il mondo di domani diventerà sempre più invivibile», aggiunge.

Siccità, incendi boschivi, inondazioni, tempeste: questi «disastri devastanti e innaturali», osserva ancora Callamard, «sono ormai un aspetto troppo frequente della vita delle persone in ogni parte del mondo. È inevitabile che tali fenomeni aumentino per portata, intensità e frequenza, causando la perdita di molte più vite, distruggendo mezzi di sussistenza e alimentando livelli senza precedenti di carestia e migrazioni forzate. Non è troppo tardi per evitare un collasso climatico totale, ma non possiamo perdere un altro minuto», è il monito.

La segretaria generale di Amnesty non ha dubbi: «Gli Stati devono basarsi sulla decisione presa durante la Cop28 e impegnarsi in una eliminazione dei combustibili fossili che sia totale, rapida, equa e finanziata. Questo – prosegue – richiederà un accordo su un obiettivo di finanziamento climatico significativamente potenziato – almeno mille miliardi di dollari all’anno – in grado di far fronte a transizioni giuste verso economie a zero emissioni di carbonio negli stati più a basso reddito. La mancanza di progressi verso un tale accordo sul tema è sconcertante. Mille miliardi di dollari possono sembrare una cifra elevata, ma i costi umani ed economici del mantenere in piedi l’attuale situazione sono incalcolabili. Dalla riuscita di questo impegno dipende il futuro dell’umanità».

Gli Stati ad alto reddito, «che hanno la maggiore responsabilità nella crisi climatica», è la tesi espressa da Callamard, devono «negoziare con serietà per raggiungere un obiettivo ambizioso e adeguato e rispettare i propri impegni. Devono anche incrementare in modo sostanziale i finanziamenti per l’adattamento ai gravi danni climatici già in atto e destinati a peggiorare rapidamente, oltre a contribuire al Fondo per le perdite e i danni, al fine di aiutare le persone più colpite dagli effetti del riscaldamento globale», aggiunge.

Una delegazione di Amnesty International sarà a Baku per la Cop29 dal 9 al 24 novembre. «Alla luce delle insufficienti tutele dei diritti umani previste nell’Accordo con lo Stato ospitante, gli Stati devono anche adottare misure per proteggere la libertà di espressione e di protesta pacifica per tutti coloro che parteciperanno alla Cop29 e per limitare l’influenza dannosa dei lobbisti dei combustibili fossili, che saranno onnipresenti alla conferenza. L’Azerbaigian – rileva la segretaria generale – ha un pessimo record in materia di rispetto della libertà di espressione e del dissenso. È quindi tanto più importante che tali diritti siano protetti all’interno dello spazio ufficiale delle Nazioni Unite. Sia il segretariato della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sia gli Stati parte devono fare molto di più rispetto a quanto fatto negli Emirati Arabi Uniti o in Egitto per garantire la sicurezza, l’incolumità e i diritti di tutti e tutte», conclude.

8 novembre 2024