Venticinque anni di pontificato per Giovanni Paolo II

Ottobre 2003, lo speciale di Roma Sette: la riflessione di Riccardi sull’idea di Roma di Wojtyla legata alle radici cristiane

Giovanni Paolo II conosce Roma dopo la sua ordinazione sacerdotale, quando è mandato qui dal 1946 al 1948. Il giovane prete di Cracovia, appena arrivato, vede Pio XII “di lontano” mentre entra nella Basilica di San Pietro sulla sedia gestatoria. Aveva ricevuto il consiglio dal Rettore del suo Seminario non solo di studiare, ma di «imparare Roma stessa».
Nei suoi primi passi a Roma tuttavia vive un certo spaesamento: «Per parecchi giorni camminavo per la città… – ha ricordato il Papa nel 1979 – e non riuscivo a ritrovare pienamente l’immagine di Roma, che da tempo portavo nella mia mente. A poco a poco mi ci ritrovai. Accadde soprattutto quando visitai le Basiliche più storiche, ma ancora di più quando visitai le catacombe».
L’idea di Roma di Karol Wojtyla si forma nel contatto vivo tra la città ideale e l’esperienza della realtà. La più grande lezione per il giovane polacco è l’universalità. La si respira al Collegio belga, dove Wojtyla si trova a contatto con gente di varie nazionalità e con i fermenti pastorali innovativi del mondo francescano.
Giovanni Paolo II afferma: «Il mio sacerdozio e la mia formazione teologica e pastorale venivano così iscrivendosi fin dall’inizio nell’esperienza romana». Romanità e universalità: «Nel cuore del cristianesimo e nella luce dei santi, anche le nazionalità si incontravano, quasi prefigurando, oltre la tragedia bellica che ci aveva tanto segnati, un mondo non più diviso», ha riguardato Giovanni Paolo II.
Nel 1948, quando rientra in patria, il giovane prete aveva immaginato “intensamente” Roma: attraverso Roma – ha affermato – il mio giovane sacerdozio si è arricchito di una dimensione europea e universale. Tornavo da Roma a Cracovia con quel senso di universalità della missione sacerdotale». La romanità lo avrebbe accompagnato durante il suo ministero di prete e di Vescovo. Soprattutto in una situazione difficile come quella polacca, separata dal resto dell’Europa e della Chiesa dal filtro del controllo comunista, romanità voleva dire un sicuro aggancio alla Chiesa universale. Il Papa, che ha tanto vivo il senso della vocazione storica delle singole nazioni, è convinto che il servizio di Roma sia decisivo nella Chiesa per evitare che questa si frammenti e si nazionalizzi.
Giovanni Paolo II, appena eletto Papa, ha quasi temuto di non essere accolto dai fedeli romani e italiani, perché straniero. Nel discorso inaugurale del 1978 disse: «Alla sede di Pietro a Roma sale oggi un Vescovo che non è romano. Un Vescovo che è figlio della Polonia. Ma da questo momento diventa lui pure romano. Sì, romano! Anche perché figlio la cui storia… e le cui millenarie tradizioni sono segnate da un legame vivo… con la sede di Pietro».
Per il Papa Roma collega tanti segmenti della storia religiosa europea. Il Papa, qualunque sia la sua origine, è romano, come dice durante la visita in Campidoglio nel 1998. Si tratta di un atto alle soglie dell’Anno Santo, in cui Roma assume un ruolo specifico nell’itinerario giubilare: «Roma si riflette nel Giubileo e il Giubileo fa riferimento alla realtà di Roma», afferma in quell’occasione. Sulla piazza del Campidoglio, di fronte alla gente, il Papa rilascia, in un certo senso, una dichiarazione di romanità. Parlando del suo pontificato, egli dice: «Il Signore, che lo ha voluto a capo della Chiesa cattolica, lo ha reso per questo “romano’, “civis romanus”, partecipe delle gioie e delle sofferenze, delle attese e delle realizzazioni di questa splendida città». Per Giovanni Paolo II Roma è soprattutto una finestra sull’universo, una porta sul mondo al di là dei confini nazionali e continentali. Ma quale la missione di Roma? Certo è quella rappresentata dalla Chiesa cattolica (perché romanità signiffica vocazione del cristianesimo al di là dell’orizzonte nazionale: la comunione con il successore di Pietro, la missione nel mondo…).
Ma il Papa crede anche in un carattere specifico di Roma che connette in profondità le radici cristiane alla cultura della città. Giovanni Paolo II spiega questo carattere utilizzando l’anagramma del suo nome: «La missione di Roma è AMOR». In questa prospettiva, nei suoi discorsi romani, Giovanni Paolo II parla della cultura dell’ospitalità e dell’accoglienza nella città. Si tratta di una visione realistica o di un tributo retorico all’idea di Roma? La presenza del Santo Padre nella nostra città è un grande messaggio, perché questa non si ripieghi su di sé e su di una dimensione provinciale. Roma, media città europea, capitale nell’Europa meridionale, non si impone per la sua forza economica o politica; ma rappresenta una risorsa importante del continente, non solo perché lo lega al Sud del mondo, l’Africa e il Mediterraneo, e d’altra parte al Centro Nord dell’Europa.
Roma, con il suo nome e la sua storia, rappresenta un legame ideale (culturale e religioso) con tante parti del mondo. parla di un legame tra gli uomini non in nome di una egemonia, ma di un’elezione e di un’affinità spirituale.
In questo mondo della globalizzazione un simile riferimento acquisra unn valore più grande di quanto si poteva pensare ieri nel mondo dei blocchi o in quello delle nazioni. In questo senso l’idea di Roma di Giovanni Paolo II è tutta da comprendere nei nuovi scenari della città e del mondo di oggi. (di Andrea Riccardi)
12 ottobre 2003