Una vita da manager, «mente e cuore» per la solidarietà

La storia di Gian Paolo Di Raimondo, 86 anni, un lungo impegno per Caritas e parrocchie. «Quanto la vita dà tanto è doveroso restituire». Le onorificenze ricevute

Una contaminazione virtuosa, tra laici e Chiesa, tra imprenditoria e volontariato. Uno scambio per portare frutti nel sociale e che è ben racchiuso nella storia di Gian Paolo Di Raimondo, ex manager di 86 anni, che ha fatto di questa solidarietà “manageriale” la sua vita. Tutto inizia nel ‘56 quando entra in Olivetti, diventando un manager di spicco, per poi passare, in 50 anni di carriera, in Philips e in Siemens.

«Fin dai primi anni – racconta – l’impostazione di Adriano [Olivetti, ndr] era ben presente: vedere il dipendente come una persona nella sua globalità e quel modo di fare mi ha portato naturalmente a ragionare in ottica di solidarietà». Posizioni di vertice, dunque, portate avanti «con la mente e con il cuore», tiene a sottolineare Di Raimondo. Niente attività «altisonanti, ma la semplicità di aiutare gli altri: dalla raccolta alimentare alla donazione del sangue, dalla distribuzione dei viveri all’impegno con la Caritas diocesana iniziato quando monsignor Guerino Di Tora era il direttore, fino agli anni successivi alla pensione», arrivata nel 2006, quando «ho iniziato ad aiutare ancora di più le realtà parrocchiali di Roma».

Innanzitutto la sua, quella di Santa Maria Stella dell’Evangelizzazione, al Torrino, ma anche «a Ostiense e nella zona del Gazometro», donando «cibo e vestiti per l’Emporio della Solidarietà». Nei decenni Di Raimondo, marchigiano di nascita ma romano d’adozione, ha visto la città e i quartieri cambiare, «come il mio – racconta – visto come una zona di soli ricchi, ma in realtà anche qui ci sono bisognosi, perché la povertà si è diffusa». E nell’aiutare gli altri ha capito «l’enorme fortuna che abbiamo, in Italia, nell’avere una Chiesa vicina, solidale, accogliente».

Ecco, infatti, il punto nevralgico del messaggio che lui stesso vorrebbe «lasciare ai giovani e agli imprenditori di oggi: la collaborazione tra Stato e Chiesa». Come testimonia l’ex manager, infatti, «lo Stato si prodiga molto per chi ha bisogno, ma rimane ingabbiato nella sua stessa burocrazia, mentre le parrocchie sono le realtà perfette per aiutare i poveri, perché nessuno conosce più di loro la gente». Una burocrazia, quella delle istituzioni, che spesso infatti, «blocca i poveri, che addirittura si vergognano per il non avere riservatezza».

Oggi, a quindici anni dalla pensione, si occupa «della gestione delle attività di solidarietà». Il lavoro gli è valso le onorificenze al Merito della Repubblica Italiana di Cavaliere, Commendatore e Grande Ufficiale, ma è soltanto nel 2021, dopo anni di sola attività di volontariato, che riceve dal presidente Mattarella quella di Cavaliere di Gran Croce. «La più importante non l’ho ricevuta per il mio lavoro, ma per la solidarietà che ho cercato di fare e questo è iconico di quanto sia fondamentale il volontariato». Ci tiene particolarmente, infatti, al concetto di «restituire». «Quando la vita dà tanto – sottolinea – è doveroso restituire qualcosa alla società, ridare indietro una parte». Lui ci è riuscito grazie e alle sue doti manageriali e, spiega, «ai tanti sacerdoti e fedeli generosi, pronti a sporcarsi le mani». La sua storia vuole lasciare proprio questo messaggio: «I manager – conclude – non devono sentirsi inarrivabili, ma lavorare con la mente e con il cuore».

4 luglio 2022