Un Piano per “superare” il campo rom di via di Salone
Il percorso del municipio VI con Associazione 21 Luglio. Obiettivo: lavoro, casa e la chiusura entro due anni. Il vescovo Ambarus: «Vivere così è un’offesa alla dignità umana»
Il campo di via di Salone «è un ghetto». A parlare è una donna, poco più di trent’anni: una tra i 354 residenti del villaggio rom di Roma est. Vive lì da 15 anni, quando gli ospiti arrivarono a essere mille. «Il problema non sono le persone ma il campo», racconta. La farmacia più vicina dista oltre 4 chilometri. Il campo è fuori dal Raccordo anulare e questo impedisce ai residenti di sentirsi parte della comunità romana. E poi ci sono le condizioni sanitarie e abitative: i cumuli di spazzatura e le fognature deteriorate alimentano la presenza di ratti. «Ci sono erbacce», dice la residente tenendo per mano suo figlio. «Ne ho altri due», spiega mentre confida di aver perso il conto dei lavori tentati. «Non so cosa mi piacerebbe fare – si scoraggia -. Anzi lo so, vorrei fare la mamma». Avere una casa sarebbe un sogno. Come è accaduto a sua madre e sua sorella, che hanno lasciato il campo dopo vent’anni. «Ora hanno una casa popolare», spiega la trentenne mentre madre e sorella descrivono i balconi nuovi allargando le braccia per dare un’idea delle dimensioni. Entro due anni anche lei potrebbe avere una casa. «Hai letto questo? – chiede -. Spero che si faccia».
Si riferisce al Piano di azione per il superamento del villaggio di via di Salone presentato ieri, 28 marzo, nella Sala Cinema del municipio VI. Il campo è uno dei dieci insediamenti rom e sinti presenti in città. Ma è anche il primo che dovrebbe essere superato. Non si tratta di uno sgombero, ma di un percorso che il municipio ha intrapreso con l’Associazione 21 Luglio coinvolgendo enti privati, pubblici e del terzo settore. «Il campo verrà superato quando l’ultima persona entrerà in un’abitazione convenzionale», spiega Carlo Stasolla, referente dell’Associazione 21 Luglio. «È un approccio integrato – aggiunge – in cui si interseca l’inserimento lavorativo con la ricerca di una casa». Serviranno 955mila euro per raggiungere, entro due anni, una serie di obiettivi. L’inserimento abitativo è l’ultimo in ordine di tempo. Prima bisognerà tirare fuori i residenti dal limbo giuridico in cui versano molti di loro, consentendo l’accesso a servizi sociali e sanitari indispensabili per uscire dal “sistema campo”.
«Vivere così è un’offesa alla dignità umana», afferma il vescovo Benoni Ambarus, incaricato per la diaconia della Carità nella diocesi di Roma. Nel progetto di superamento del campo, le comunità parrocchiali «possono essere una marcia in più – aggiunge – per accompagnare le persone fuori da quelle condizioni». È una condizione di segregazione culturale e sociale in cui i pregiudizi non aiutano di certo nel percorso di istruzione, né in quello lavorativo. Il progetto interverrà su entrambi i fronti, garantendo parità di accesso scolastico ai minori e istituendo 25 borse di studio per i più grandi. «Ma l’asse portante sarà quello lavorativo – sottolinea Stasolla -: un presidio fisso all’interno dell’insediamento aiuterà le persone nella ricerca del lavoro». I corsi di formazione serviranno soprattutto a giovani e donne. Ma anche ai tanti abituati a raccogliere metalli o abiti da rivendere. «Così mettiamo al centro la persona», commenta il presidente del municipio VI Nicola Franco. Qui, nell’unico municipio di Roma guidato dal centrodestra, si potrebbe realizzare quello che Roma Capitale non è mai riuscita a fare.
«A breve arriverà in giunta la delibera sul superamento dei campi rom», anticipa l’assessore capitolino alle Politiche sociali Barbara Funari. «È un’ingiustizia che ho visto la prima volta a 14 anni, quando ho visitato il campo di Monte Mario per fare doposcuola ad alcuni bambini», aggiunge Funari. La città non ha offerto altro a queste persone, ma oggi un’alternativa sembra intravedersi. (Giuseppe Pastore)
29 marzo 2023