“Un angolo di cielo” blues: ritratto di Pino Daniele

Tra i pochi innovatori della musica italiana, nei primi anni ’80 produsse un trittico di classe fondendo tradizione partenopea con funky e jazz. Suonò con Clapton e altri grandi della musica internazionale

Non hai torto né ragione

Se dici che in questa vita

Devi essere un leone

Bisogna vincere la sfiga

Questo mondo è nero è bianco

Pieno di perplessità

E fa’ comodo allo stato

La nostra solidarietà

Signore io ti chiedo

Se c’è

Un angolo di cielo per me

Che vivo una vita sola

 

Un angolo di cielo era una delle più belle canzoni di Pino Daniele, una di quelle che meglio definiva il suo carattere, il suo essere musicista, il suo esserci, le sue incertezze, la sue perplessità di uomo. In una notte di gennaio il suo cuore s’è fermato e la sua antica cardiopatia l’ha portato via.

Chitarrista noto non solo in Italia, ma in mezzo mondo per via delle molteplici collaborazioni, Pino Daniele – al di là delle celebrazioni commosse più o meno autentiche – è stato uno dei pochi che hanno realmente cambiato la musica italiana. Prima di lui noi italiani avevamo i cantautori (Guccini e De André, De Gregori e Venditti) e avevamo il “progressive rock” (PFM e Orme, Area, Banco e New Trolls) come rappresentanti di una certa nuova musica di qualità capace di uscire dagli standard della musica leggera.

Con lui, miracolosamente partorito da quella Napoli che a metà degli anni ’70 era una delle più feconde fucine di musica incredibilmente contaminata (basti pensare a Napoli Centrale e Osanna), lo scenario italiano si è trasformato d’improvviso. Scrivendo canzoni in napoletano o in un mix italo-partenopeo-inglesizzato, Daniele per oltre un decennio ha inciso una serie di dischi di qualità e di impatto rivoluzionario, lanciando sul mercato album intitolati Nero a metà (1980), Vai mo’ (1981) e Bella ‘mbriana (1982), che costituiscono idealmente un trittico di classe inattaccabile, di energia purissima e di grinta tragico-napoletana.

In quegli anni le sue produzioni facevano da ponte tra tradizione partenopea e sound internazionale; la sua scommessa musicale prendeva l’antico retaggio della canzone popolare della sua terra incrociandolo con il funky, con il blues, con il jazz. Tra Murolo e Pino Daniele c’era più di un punto di contatto emozionale e d’anima, anche se la “confezione musicale” era profondamente differente.

Molto più vicino ai Weather Report e alla fusion che a Mario Merola, l’idea musicale di Pino Daniele – soprattutto agli esordi – era quella di dar voce al malessere, all’ironia e al fatalismo partenopeo all’interno di una confezione scintillante, tremendamente internazionale e tecnicamente impeccabile.

Canzoni come Je so’ pazzo, A me me piace o’ blues, I say I sto ‘cca, Quanno chiove, Yes I know my way, Tutta n’ata storia, Musica musica, Nun me scuccià, hanno fatto scoprire a tutta Italia che era un napoletano, d’improvviso, il top player della musica italiana. Ed a partire da lui, piano-piano, Napoli riuscì a diventare una città di riferimento per tutto il Paese visto che Massimo Troisi (morto anche lui per attacco cardiaco nel ’94) e Diego Armando Maradona (colui che forse è il più grande calciatore di tutti i tempi arriva a Napoli nel 1984) avevano creato con Pino una “trinità” laica tutta napoletana: la città indicata come quella della camorra, dei contrabbandieri e della “monnezza” diventava di colpo una capitale di musica, cinema e sport.

Nei dischi di Pino Daniele, di sicuro sino alla metà degli anni ’80, trionfa la necessità di riscatto di Napoli, dei suoi giovani, di un mondo intero intorno a loro. Per il chitarrista sono anche gli anni di una rabbia giovane, di un fastidio triste, di una voglia di fuga, di battaglia, di ribellione. Il ritornello di Voglio di più dice tutto:

 

Ma voglio di più

di quello che vedi

Voglio di più

di questi anni amari

sai che non striscerò

per farmi valere

vivrò così cercando un senso anche per te

 

Con il passare degli anni Pino, sempre più affermato, ha smorzato la rabbia, ingentilito i suoni, smussato le canzoni, addolcito gli arrangiamenti. I suoi tour sono rimasti fantastici esempi di professionalità stilistico-spettacolare, ma i dischi hanno dimenticato il mordente degli anni d’oro. D’altra parte la salute (sempre sul filo del rasoio) ed una serenità familiare che forse prima mancava, gli hanno fatto trovare un equilibrio adulto che forse era irraggiungibile negli anni selvaggi e istintivi del suo arrivo al successo.

L’ho incontrato due volte, per due interviste. L’ho visto in concerto a Milano, all’Olimpico di Roma e nei pressi di Trieste, in tempi per lui molto prolifici. Era sempre sereno, tranquillo, disponibile. Non è mai stato un autore “colto”. Non è mai stato un “poeta”. Soprattutto nella sua fase produttiva più “easy”, più o meno da Mascalzone Latino (1989) in poi, la critica più dotta e a senso unico non gli ha perdonato la gigioneria di certe canzoni facili e banalotte e anche quando diceva cose bellissime, i suoi censori le dimenticavano in fretta, come quando parlava degli occhi dell’amata:

 

Occhi che sanno cercare

anche quello che non c’è

e ci fanno confessare

tutto quello che vorremmo avere

(Occhi che sanno parlare)

 

Lo accusavano di essere “troppo poco blues”. La critica banalotta e perditempo non gli ha forse mai perdonato di essere entrato in punta di piedi su palcoscenici prestigiosi, tra cui il Crossroads promosso da Eric Clapton, il più importante cartellone rock-blues del mondo. Di sicuro è stato uno dei primi musicisti italiani a godere autentica stima ovunque, grazie alla sua taciturna gentilezza, ad una versatilità chitarristica di primissimo piano ed alla sua predisposizione a mettere a fattor comune le varie ispirazioni musicali con cui entrava in contatto.

Con Pino Daniele, piaccia o non piaccia, l’Italia ha svecchiato il suo orizzonte, ha scoperto un grande musicista e ha cantato grandissime canzoni. E lui, Pino, ha continuato a modo suo a cercare risposta, sotto svariate forme, a quella necessità di “volere di più”. E chissà mai se quel “di più” fosse “quell’angolo di cielo”, che deve a tutti i costi esserci per chi vive una sola vita:

 

Signore io ti chiedo se c’è

Un angolo di cielo per me

Che vivo una vita sola

Che vivo una vita sola

Perché mi sento ancora

Perché ti senti ancora

Perché mi sento ancora un diverso

 

7 gennaio 2015