Tutti a scuola? Rischio «irragionevole». La soluzione è «la città come aula all’aperto»

Fabio Bocci insegna Didattica speciale a Roma Tre. In una lettera ai ministri Bianchi e Speranza, critica la scelta di riaprire gli istituti «nelle stesse condizioni a causa delle quali si era deciso di chiudere o ridurre le presenze». E suggerisce: «Spezziamo l’idea che scuola significhi solo classe»

Riaprire le scuole è un «rischio irragionevole», perché «non può essere fatto nessun ragionamento di “rischio calcolato” sulla pelle degli insegnanti, dei dirigenti, del personale scolastico, degli studenti e dei loro familiari. E nulla è stato fatto per assicurare, nelle scuole e nei trasporti, condizioni diverse da quelle che hanno provocato l’interruzione o la riduzione della presenza in classe. Eppure, riaprire si può e si deve ma in modo diverso, tramite una vera e propria rivoluzione della scuola, dei suoi spazi e dei suoi modi. È questa, in sintesi, l’indicazione che Fabio Bocci, come docente di Didattica speciale a Roma Tre e studioso di scienze dell’educazione, ma anche papà di una studentessa, suggerisce ai ministri Bianchi e Speranza, in una lettera in cui esprime «non poche perplessità e preoccupazioni» di fronte all’ipotesi di un ritorno in classe al 100%, a partire dal prossimo 26 aprile. E rilancia, alla fine dell’anno scolastico, l’idea che aveva già proposto all’allora ministro Azzolina, quando l’anno doveva ancora iniziare: l’idea di una scuola fuori dalle mura scolastiche e di un apprendimento fuori dalla classe e lontano dai banchi.

«Molto si è dichiarato, poco si è fatto». A preoccupare, in questo momento, sono le affermazioni del ministro Speranza che «domenica 11 aprile, durante la trasmissione televisiva Che tempo che fa, ha ammesso che riaprire le scuole, a suo avviso, comporta “un elemento di rischio” ma ha aggiunto che possiamo investire su questa apertura il “tesoretto” (in termini di riduzione dei contagi) accumulato con le chiusure. Un discorso che ovviamente è in sintonia con quello del presidente del Consiglio Draghi, il quale riferendosi alle riaperture parla di “rischio ragionato” o “rischio calcolato”. Questo ragionamento porta il ministro Bianchi a dire che “la scelta del governo è chiara” e che “la scuola è una priorità nella sua azione”».

Che la scuola debba essere una priorità, commenta Bocci, «è cosa sacrosanta ma è anche ciò che sentiamo ripeterci da anni e, in modo contingente alla situazione pandemica, da circa un anno con sistematicità più o meno da tutti. Di fatto, però, in quest’anno molto si è dichiarato – sul fronte degli investimenti nell’implementazione dei trasporti, nella riduzione del numero degli studenti per classe (vedi alla voce “classi pollaio”), nel conseguente ampliamento degli organici degli insegnanti, sull’adeguamento degli spazi, sui tracciamenti precoci ecc. – ma poco o nulla si è fatto. E il ministro Bianchi, afferma che “nei prossimi giorni lavoreremo con i nostri Uffici territoriali, gli enti locali, le scuole, i tavoli prefettizi”. In altre parole, non si è lavorato prima in modo da arrivare alla decisione di riaprire perché si sono creati i doverosi presupposti ma si decide di aprire e poi ci si mette all’opera per risolvere in pochi giorni scarsi (quelli che ci separano dal 26 aprile) ciò che non si è risolto in più di un anno. In altri termini – prosegue il docente – si riapre nelle stesse condizioni (sovraffollamento, mancanza di tracciamenti, trasporti non implementati, ecc…) a causa delle quali si era deciso di chiudere o di ridurre la percentuale del numero di studenti per classe. Il tutto in una situazione pandemica che vede ancora un elevato numero di contagi giornalieri e uno straziante e inaccettabile numero di morti. Per non parlare del “piano vaccinale”, che nei fatti arranca per tutta una serie di concause».

Il «rischio ragionevole» di far aumentare i morti. Per questo, continua Bocci, «sconcerta l’affermazione del ministro Speranza sul “tesoretto” che possiamo “investire” sulla scuola, decidendo (senza aver fatto praticamente nulla) di rimandare tutti in classe. La cosa grave è che tornando ad aumentare i contagi, aumenteranno anche i morti. Ma è proprio su questa possibile obiezione che sembra innestarsi il ragionamento del governo sul rischio “calcolato” o “ragionevole”. Calato sulla scuola, questo ragionamento è inaccettabile, perché nessun insegnante, dirigente, operatore scolastico, così come nessuno studente e nessuno dei loro familiari può essere posto in una condizione di rischio di salute per vedere riconosciuto il diritto all’istruzione. Non può essere fatto nessun ragionamento di “rischio calcolato” sulla pelle degli insegnanti, dei dirigenti, del personale scolastico, degli studenti e dei loro familiari».

Trasformiamo le città in aule all’aperto. Detto questo, continua Bocci, «comprendo però che su queste riaperture (compresa quella della scuola al 100%) si stia giocando una partita di tenuta sociale e, soprattutto, di tenuta politica e voi siete chiamati ad assumere decisioni e a correre dei rischi. E allora, visto che siamo tutti d’accordo sul fatto che la scuola è una priorità e che la presenza è un valore, l’unico rischio che dobbiamo correre è quello di riaprire sì, ma in modo differente. Torno a dirlo e a scriverlo diversi mesi dopo averlo suggerito, inascoltato, anche al ministro Lucia Azzolina». Di qui la proposta: «In questo mese e poco più di scuola, corriamo il rischio di trasformare le nostre città in immense aule all’aperto. Quello che dobbiamo e vogliamo vedere in questa ultima fase della scuola sono i parchi, i giardini, le ville comunali, le strade, i monumenti frequentati e abitati da studenti e insegnanti che osservano, prendono appunti, si confrontano, ripassano, scrivono, sperimentano e si preparano anche agli esami, per tutti coloro che devono affrontare questo importante appuntamento. Questo è l’unico rischio che davvero dobbiamo avere il coraggio di correre: il coraggio di giocare la partita non sul terreno del virus (che fino ad ora ci ha battuti), inseguendolo, ma sul piano dell’immaginazione, anticipandolo. E lo possiamo fare insieme, spezzando l’idea che scuola significhi solo classe, superando finalmente l’idea che il processo di insegnamento-apprendimento si risolva nella spiegazione, nello studio a casa e nelle verifiche. Immaginiamo gruppi di lettura, di studio, di ascolto all’aperto, laboratori esperienziali negli spazi del sociale, osservazioni e ricerche in natura, approcci ludici alla conoscenza. Immaginiamo una scuola diffusa sul territorio, i nostri figli davvero al centro di un progetto di rinnovamento e di ripartenza».

21 aprile 2021