Turchia e Siria: oltre 16mila i morti

Continua intanto il lavoro dei soccorritori. Un dodicenne estratto vivo dalle macerie dopo 62 ore. I team Usar di Toscana e Lazio hanno salvato un ragazzo ad Antiochia. Riaperti i tre principali valichi di frontiera con la Siria. Atteso il primo arrivo di un convoglio umanitario

Bare di metallo verde allineate, 10 alla volta, sotto a una tettoia, nel cimitero principale di Gaziantep, in Turchia. È solo uno dei punti in cui si radunano i corpi delle vittime del terremoto che lunedì scorso, 6 novembre, ha devastato Turchia e Siria. Il bilancio ufficiale, aggiornata a questa mattina, 9 febbraio, supera i 16mila morti, stando a quanto riferiscono fonti ufficiali e mediche. Almeno 62.914 i feriti solo in Turchia, informa l’agenzia per le emergenze e i disastri di Ankara (Afad). In Siria invece – dove in giornata è previsto il primo arrivo di un convoglio umanitario nelle province siriane confinanti con la Turchia e controllate dai ribelli al regime di Damasco – si parla di 298mila persone costrette a lasciare le loro case, ma il dato, avverte il Guardian, sembra riferito solo alle zone sotto il controllo del governo.

Continuano comunque le operazioni di soccorso, che vedono in prima linea anche l’Italia. L’Ansa riporta la testimonianza dell’infermiere toscano Samuele Pacchi, operativo ad Hatay: «Sono scene disperate: le persone si inginocchiano, piangono e ci implorano di intervenire. Diventa davvero difficile dire di no, ma purtroppo siamo costretti a fare una scelta e dobbiamo per forza concentrarci di più sui dati oggettivi, come le voci da sotto le macerie oppure se uno dei nostri cani dei vigili del fuoco sente una scia», riferisce. Ad aggravare la situazione, le temperature glaciali della notte, che a Gaziantep hanno toccato i – 5 gradi sottozero. Nonostante tutto, però, a ormai 76 ore dal terremoto ci sono ancora dei salvataggi. Come quello di Antakya, dove le squadre di emergenza hanno lavorato tutta la notte per estrarre una ragazzina dalle macerie di un edificio e dopo due ore sono riusciti a tirare fuori vivo anche suo padre, riferiscono i media locali. Liberata una donna anche a Diyarbakir, a est di Antakya. Vicino a Gaziantep invece un bambino di 12 anni è stato estratto vivo dalle rovine di uno dei tanti palazzi distrutti dal sisma, dopo circa 62 ore. Ancora, le squadre Usar dei vigili del fuoco italiani arrivate da Lazio e Toscana hanno estratto vivo ad Antiochia un ragazzo che si trovava sotto le macerie di un palazzo di sette piani dove da questa mattina stavano operando i team. Non c’è stato invece nulla da fare per una bambina: i vigili del fuoco hanno estratto il corpo privo di vita e lo hanno consegnato alle autorità turche.

Nella giornata di oggi intanto dovrebbe essere ripristinato l’uso di Twitter nelle province turche colpite dal sisma. Il social era stato usato nei giorni scorsi anche da persone rimaste sotto le macerie, per segnalare la posizione ai soccorritori. In un tweet di Elon Musk si legge che «il governo turco ha informato Twitter che l’accesso sarà ripristinato a breve». Lo stop infatti era stato deciso dalle autorità dopo le critiche al governo per i ritardi ei soccorsi: il presidente turco Erdogan aveva invitato a stare in guardia «dai provocatori» e dalla loro «disinformazione». Prima del tweet di Musk, NetBlocks, osservatorio internazionale specializzato che monitora l’accesso alla rete, aveva indicato che era in corso un blocco di Twitter da parte dei tre principali provider di internet del Paese: TurkTelekom, Turkcell e Vodafone.

Riaperti dalle autorità turche, nelle ultime 24 ore, i tre principali valichi di frontiera con la Siria (Bab as Salama, Bab al Rai e Bab al Hawa), ma finora non è passato nessun carico umanitario. In giornata è previsto il primo arrivo di un convoglio umanitario nelle province siriane confinanti con la Turchia e controllate dai ribelli al regime di Damasco. Da qui arrivano le testimonianze dei collaboratori della ong Pro Terra Sancta, che fa capo ai Francescani della Custodia di Terra Santa. Da Latakia, in particolare, parla Giacomo Pizzi, arrivato da Aleppo per un sopralluogo. «Qui ci sono circa 200 persone nel convento e vari sfollati in altri centri», riferisce, raccontando di una situazione «simile ad Aleppo. La parte centrale della città non ha avuto crolli importanti se non per due edifici. Gli edifici non sono crollati, ma già due o tre sono stati evacuati ieri perché a rischio di crollo. Si vede infatti che sono instabili, per questo vedo molti sfollati che non possono rientrare nelle loro case. Inoltre, siccome continuano lievi scosse, questi edifici probabilmente o crolleranno da soli (come quelli di Beirut), oppure ad un certo punto verranno abbattuti, perché in queste condizioni non sono vivibili». Particolarmente danneggiate la periferia settentrionale – dove si trovano in gran parte le famiglie sfollate di Idlib – e quella meridionale, con diversi insediamenti palestinesi. «Gli sfollati della guerra (palestinesi e questi di Idlib, Knayeh e Yacoubieh in particolare) sono dunque sfollati di nuovo – le parole di Pizzi -. Durante la guerra cercavano una casa qui e adesso non ce l’hanno più. È iconica la storia di questa donna Jameela che ha 90 anni ed era fuggita da Idlib con la sua famiglia per fuggire da al-Nusra. Ieri stavano per rientrare nella loro casa che ballava tutta e li hanno fatti uscire e ora non hanno una casa».

9 febbraio 2023