«Signor Matteo Salvini, ora che ha avviato il suo mandato ci sentiamo di renderle note alcune evidenze scaturite dal nostro pluriennale lavoro a fianco delle persone immigrate, con specifico riferimento alle giovani africane, in particolare nigeriane, vittime di tratta degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale». Inizia così la lettera che suor Eugenia Bonetti, presidente dell’associazione “Slaves no more“, e Oria Gargano, presidente della cooperativa sociale “BeFree“, indirizzano al neo ministro dell’Interno Matteo Salvini. «Le vicende che queste donne ci raccontano – precisano – non possono certo essere descritte con il termine “pacchia” che lei ha voluto utilizzare per una sommaria descrizione della qualità di vita di migliaia di uomini, donne, bambine e bambini costretti a lasciare il proprio Paese per l’indubitabile insostenibilità della loro situazione dovuta a ingiustizie, povertà, corruzione, impossibilità di costruirsi un futuro, nonché a motivo di conflitti armati».

Tutti questi fattori, per le due firmatarie della lettera, sono ascrivibili a chiare responsabilità dell’Occidente. Quindi, raccontano l’iter, i patti e le violenze subite dalle ragazze che cercano speranze in Italia e invece finiscono sulle strade della prostituzione. «Per intervenire contro tali ingiustizie – affermano – è impensabile colpire chi ne è vittima». Allo stesso modo, «per rendere un Paese accogliente, inclusivo, rispettoso delle vittime di questi soprusi non si può tuonare contro i “clandestini” senza conoscere le situazioni da cui provengono e chi sono coloro che hanno organizzato il viaggio».

Da ultimo, suor Bonetti e Gargano ricordano al ministro che «i fondi stanziati per gli interventi umanitari provengono dalla Commissione europea, a riconoscimento del ruolo centrale dell’Italia». Quindi, «perché raccontare agli italiani che quei fondi sono sottratti alle politiche sociali destinate ai nativi? Signor ministro, cosa può portare di buono aizzare una guerra tra poveri?».

6 giugno 2018