Trapper, social e valori: i compiti e le domande sui ragazzi

Interrogativi sospesi sulla funzione educativa e su quella sorta di “super-io” che domina i giovani quando devono rendere conto di loro stessi

Ho trascorso questa domenica pomeriggio sulla scrivania, avevo tre pacchi di verifiche da correggere. Mentre leggevo e imbrattavo di rosso i fogli, per l’ennesima volta mi sono ritrovato nei pensieri a interrogare i miei studenti, ma in realtà per interrogare me stesso: tante volte è capitato e proverò a spiegare a cosa mi riferisco in questo caso. Metti un compito in classe di italiano, mille volte dato, su giovani e musica, adolescenti e nuovi personaggi del mondo dello spettacolo. Puntuale, almeno metà dei ragazzi e delle ragazze a un certo punto affermerà perentoriamente «oh, quanto era meglio prima quando gli artisti erano duramente selezionati e conoscevano musica e arte del canto, non come questi trapper da quattro soldi che cantano solo droga, sesso e soldi o queste meteore da reality show».

Oppure, metti un compito in classe di italiano, mille volte dato, su giovani e social, adolescenti e nuove tecnologie. Puntuale, almeno la metà dei ragazzi e delle ragazze a un certo punto affermerà perentoriamente «oh, quanto si stava meglio quando i rapporti erano più autentici e ci si poteva mandare lettere scritte a mano (sic), non come adesso dove tutti siamo vittime e prigionieri di uno schermo». O infine, metti un compito in classe di italiano, mille volte dato, che porti a raccontare le proprie aspirazioni per il futuro, i propri sogni, i propri progetti. Puntuale, almeno la metà dei ragazzi e delle ragazze a un certo punto affermerà perentoriamente «oh, vorrei assomigliare alla generazione dei miei, che ha costruito il proprio futuro, che ha avuto valori veri (sic), che ci ha dato certezze».

Poi la campanella suona, loro consegnano il compito, escono dalla scuola e nel giro di pochi minuti avranno già letto centinaia di messaggi in chat, contenti di quella foresta di relazioni a portata di mano, mandato in loop l’ultima playlist explicit content, raccontato all’amica e all’amico la rabbia se non l’odio verso tutto quello che li circonda, insegnanti e genitori in primis.

C’è insomma una specie di “super-io” che stancamente, ogni volta che sono chiamati a rendere conto di loro stessi, domina le parole dei ragazzi. In fondo una parte di me mi dice che è sempre stato così, e che forse, mi ripete, potrebbe anche esserlo a ragion veduta. Ma poi emerge una parte di me che recrimina: «Ma perché, con le debite eccezioni, non riesci a fare dire loro che invece sì, infondo quel trapper vale per loro più di mille tuoi canti danteschi, che quella chat su Instagram è per loro il migliore dei mondi possibili e che, al di là di tutte le prediche edificanti che ogni giorno si sentono propinare da una generazione che detestano, il futuro che gli si para di fronte un po’ gli fa davvero paura?».

Si tratta di domande che ovviamente restano sospese, che fanno i conti personalmente con quello che reputo dovrebbe essere la mia funzione educativa: mettere il ragazzo anche di fronte a se stesso, adattare gli strumenti culturali anche al fine di decodificare quello che potrebbe diventare quell’essere informe che spesso un adolescente sente di essere. Le domande, domenica, sono restate lì. Io ho finito di correggere le ultime verifiche, ma consapevole che il primo a dovere essere verificato ogni giorno da questo punto di vista sono proprio io.

4 dicembre 2019