Tragedia di Casteldaccia, monsignor Lorefice: «Abitare la terra da custodi sapienti»

La città di Palermo si è fermata per dare l’ultimo saluto alle nove vittime, tra cui tre bambini. L’arcivescovo: «Dobbiamo cambiare. Tutti. Dobbiamo convertirci»

Si sono svolti questa mattina, martedì 6 novembre, i funerali delle vittime dell’inondazione di Casteldaccia, nel palermitano. La cattedrale di Palermo era colma di gente per l’ultimo saluto ai componenti dei due nuclei familiari che hanno perso la vita nella notte tra sabato e domenica a causa dell’esondazione del fiume Milicia. Da accertare ancora le responsabilità. La casa in cui si erano ritrovati era abusiva ma il proprietario non ne avrebbe mai fatto cenno agli inquilini.

Affranto Giuseppe Giordano, 35 anni, che ha visto morire la moglie, Stefania Catanzaro, 32 anni, la figlia di un anno, Rachele, e il figlio Federico, di 15 anni, che ha tentato di salvare la sorellina tenendola in alto fino a quando non è stato sopraffatto dalla furia dell’acqua. Morti anche i genitori di Giordano, Antonino, 65 anni, e Matilde Comito, la sorella Monia, 40 anni, il fratello Marco, 32 anni; travolti e uccisi pure il nipote di tre anni, Francesco Rughoo, e la nonna 65enne del piccolo, Nunzia Flamia.

«Di fronte alla morte innocente e allo strazio di chi resta non possiamo che levare lo sguardo verso il nostro Signore. Egli non offrì mai spiegazioni alle tragedie umane, ma si fece carico, con una commozione intensa, dei nostri smarrimenti e dei nostri lutti». Lo ha scritto monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, in un messaggio inviato per le esequie delle vittime.«Insieme alziamo la nostra vocee gridiamo a Gesù, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, nostro Fratello e Signore: Gesù di Nazareth, dobbiamo fermarci, non possiamo proseguire oltre, indifferenti, dinnanzi a tanta sofferenza. Dobbiamo “sentire” queste morti, far nostro questo dolore, com-patirlo, portarlo insieme a quanti ora ne sono schiacciati. Dobbiamo cambiare. Tutti. Dobbiamo convertirci».

«Gesù – si legge ancora nella lettera dell’arcivescovo – facci guardare al mondo e agli uomini con i tuoi occhi, con stupore, rispetto, attenzione, amore. Facci abitare la terra da custodi sapienti e da pellegrini impavidi, non da padroni stanziali. Facci avvicinare ad ogni dolore per stendere le mani e toccarlo, assumerlo, fino a sentirlo nelle nostre viscere. Continua tu a narrarci che la tua incarnazione, la tua morte ingiusta – accolta liberamente e per amore – e la tua risurrezione sono la vicinanza di Dio che fa suo il travaglio e il dolore del mondo, il grido delle vittime che attendono riscatto e liberazione, gioia e vita, giustizia e pace».

 

 

6 novembre 2018