Tortura, la legge delude tutti. Antigone: «Non è la nostra»

Antigone e Amnesty prendono le distanze dal testo approvato dalla Camera. E gli agenti di polizia temono «denunce strumentali»

Antigone e Amnesty, pur considerandone l’importanza, prendono le distanze dal testo approvato dalla Camera. E gli agenti di polizia temono «denunce strumentali»

«In Italia da oggi c’è il reato di tortura nel codice penale. Un dibattito parlamentare lungo ben ventotto anni. Un dibattito molto spesso di retroguardia culturale. Un dibattito che ha prodotto una legge da noi profondamente criticata per almeno tre punti: la previsione della pluralità delle condotte violente, il riferimento alla verificabilità del trauma psichico e i tempi di prescrizione ordinari». L’associazione Antigone si mostra critica verso la nuova legge sulla tortura, approvata ieri, 5 luglio, in via definitiva alla Camera. Una legge che sembra scontentare tutti, come si evince dalle reazioni arrivate da numerose associazioni e forze politiche. Continuano da Antigone: «Era il dicembre del 1998 quando Antigone elaborò la sua prima proposta di legge, fedele al testo previsto nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984. La legge approvata che incrimina la tortura non è la nostra legge e non è una legge conforme al testo Onu. Per noi la tortura è e resta un delitto proprio, ossia un delitto che nella storia del diritto internazionale è un delitto tipico dei pubblici ufficiali. Tuttavia da oggi c’è un reato che si chiama tortura. Da domani – proseguono – il nostro lavoro sarà quello di sempre: nel caso di segnalazioni di casi che per noi sono “tortura” ci impegneremo affinché la legge sia applicata. Non demordiamo. È il nostro ruolo – concludono dall’associazione -. Inoltre, lavoreremo per dare applicazione alle parti della legge che riguardano la non espulsione di persone che rischiano la tortura nel Paese di provenienza e l’estradizione di persone straniere accusate di tortura e residente nel nostro Paese. Ci impegneremo anche in sede politica e giurisdizionale, interna e internazionale, per migliorare la legge e renderla il più possibile coerente con la definizione delle Nazioni Unite».

Amnesty: «Non è una buona legge, ma evita l’ennesimo rinvio». A dichiararlo è il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi: «Quella approvata dal Parlamento, che introduce con quasi 30 di ritardo il reato specifico di tortura nel codice penale ordinario, non è una buona legge», ha ribadito, alla luce della grande esperienza dell’associazione che, con la Conferenza di Stoccolma, lanciò la sua prima campagna mondiale contro la tortura nel 1977. «É carente sotto il profilo della prescrizione. Inoltre, la definizione della fattispecie è confusa e restrittiva, scritta con la preoccupazione di escludere anziché di includere in sé tutte le forme della tortura contemporanea. Permette tuttavia di compiere un passo avanti, anche se incompleto, verso l’attuazione dell’obbligo di punire la tortura imposto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984». Continua il presidente di Amnesty: «Nella misura in cui pone fine alla rimozione della tortura, alla sua indicibilità, la legge permette di superare quella situazione di grave inadempimento per cui i giudici italiani erano costretti a mascherare una delle più gravi violazioni dei diritti umani da reato banale, a volte da mero abuso d’ufficio, con la conseguenza di punirla in modo lieve o di non punirla affatto per effetto della prescrizione. Se la definizione accolta non può soddisfare, l’ipotesi di rinviare per l’ennesima volta, nella vaga speranza che un nuovo parlamento sapesse fare ciò che nessuno dei cinque precedenti aveva fatto, sarebbe servita solo a chi – e sono ancora in molti – il reato di tortura non lo ha mai voluto, senza se e senza ma e in qualsiasi modo definito, considerandolo contrario agli interessi delle forze di polizia».

Una legge che spaventa gli agenti. La nuova legge non piace e spaventa – per motivi diametralmente opposti – anche le forze di polizia. «Una legge inutile, anzi dannosa, quella del reato di tortura, non fosse altro perché in Italia questa forma di reato, è già prevista e sanzionata,  in varie leggi. Questa norma, sembra ritagliata “su misura” per gli operatori di polizia e assume, a giudizio del Libero Sindacato di Polizia (LI.SI.PO.) «un aspetto quasi punitivo, inammissibile e assurdo». Dichiara il presidente nazionale, Antonio de Lieto: «Pene elevatissime per i pubblici ufficiali che dovessero incorrere  in una delle fattispecie di questo reato. La previsione, quale parte integrante del reato, della “acuta sofferenza psicologica” potrebbe incentivare anche accuse infondate nei confronti di operatori di polizia  che, comunque, sarebbero costretti ad affrontare spiacevoli situazioni. Forse – continua de Lieto – non ci si rende conto che questa legge può diventare una sorta di “disarmo psicologico” degli operatori di polizia. Certo, è assurdo pensare che un poliziotto possa torturare, ma se ciò dovesse accadere è ovvio e giusto che il responsabile sia perseguito penalmente. Il LI.SI.PO. – conclude il presidente nazionale – non chiede “immunità”, chiede solo che gli operatori di polizia possano svolgere serenamente il loro lavoro e una legge che sembra un “abito su misura” per gli operatori di polizia deve quantomeno far riflettere e indurre il legislatore ad apportare radicali modifiche».

Il Sappe, da parte sua, paventa «centinaia di denunce strumentali da parte di persone senza scrupoli». Secondo Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, «il reato di tortura, così come è stato concepito ieri dalla Camera dei Deputati, potrà esporre tutti i poliziotti penitenziari a denunce strumentali da parte dei delinquenti senza scrupoli, dei professionisti del disordine e dei criminali incalliti. Nelle nostre carceri, nonostante siano all’avanguardia mondiale per la legislazione trattamentale e rieducativa del reo grazie anche e soprattutto al prezioso, difficile e delicato compito degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, già oggi vi sono decine e decine di detenuti che riferiscono di presunte violenze, spesso senza alcuna prova, esponendo al pubblico ludibrio l’onorabilità istituzionale e personale dei nostri agenti, assistenti, sovrintendenti, ispettori, funzionari». Questo, per Capece, «esporrà inevitabilmente a possibili e probabili false accuse di tortura contro coloro che sono quotidianamente impegnati nella tutela dell’ordine pubblico nelle carceri e nelle strade, nel contrasto al crimine organizzato e diffuso per assecondare demagogie che guardano con sospetto l’operato delle forze dell’ordine e delle forze armate, dimenticando che esse sono a presidio della democrazia e del principio di legalità del nostro Paese e che i delinquenti sono coloro che le leggi le infrangono quotidianamente uccidendo, rubando, spacciando droga e rendendosi responsabili di ogni tipo di reato che mina le basi stesse dell’ordine costituito, della convivenza e della sicurezza sociale».

6 luglio 2017