Torpignattara: l’incontro e la «zizzania»
Parroci ed educatori intervengono dopo l’aggressione razzista al parco Sangalli. «La convivenza non è sempre semplice ma ci impegniamo per essere una realtà educativa»
L’allegro vociare dei bambini sugli scivoli, le chiacchiere degli anziani sulle panchine, gli scherzi tra giovani in bicicletta. Al parco Sangalli, all’ombra dei resti dell’acquedotto Alessandrino a Torpignattara, la quotidianità fa da contraltare all’aggressione con insulti razzisti di domenica 30 giugno. Un episodio «grave e mortificante» che vanifica il lavoro di convivenza pacifica che viene fatto ogni giorno. «È la zizzania che si insinua di notte provando a soffocare il desiderio di incontro», dice padre Gaetano Saracino, da ottobre parroco a San Giuseppe Cafasso.
Definire Torpignattara semplicemente un quartiere multietnico forse è riduttivo perché c’è un intreccio di culture, tradizioni e fedi diverse. In zona convivono tre parrocchie, un tempio indù, tre moschee e un’associazione bahá’í con le quali «la convivenza virtuosa è un’esperienza concreta – prosegue il sacerdote -, una strada percorribile, un percorso umano di amicizia che diventa dialogo e partecipazione a momenti significativi delle rispettive comunità». Missionario scalabriniano – congregazione che ha come carisma l’accompagnamento della mobilità umana -, padre Saracino specifica che «l’ideale della convivenza, e gli strumenti in atto per raggiungerla e praticarla, sono sempre perfettibili e in questo si gioca l’azione di sostegno e di animazione della comunità parrocchiale».
Dall’altro lato del parco Sangalli c’è la parrocchia Santa Giulia Billiart, dove si vuole attivare «un servizio di semiresidenzialità per preadolescenti e adolescenti – dichiara il parroco don Manrico Accoto -. Bisogna offrire alternative ai ragazzi, specie lì dove ci sono disagi familiari, problematiche che hanno instillato nei giovani l’idea che la violenza sia l’unico modo per affermarsi». Il sacerdote osserva che eventi come quello di domenica scorsa si verificano quando «si incontrano disagi sociali e degrado urbano. Il problema è la mancanza di cura dei ragazzi che vanno educati e indirizzati fin da bambini. Bisogna ripartire facendo autocritica sul metodo educativo. La convivenza non è sempre semplice ma ci impegniamo per cambiare lo stato dell’arte ed essere una realtà educativa».
Alla notizia di quanto accaduto il 30 giugno nel parco, una maestra della scuola primaria “Pisacane” ha provato «smarrimento per un atto violento verificatosi sotto casa». Ripensando all’omicidio di via Pavoni del 2014, quando un 17enne italiano uccise un 28enne pakistano durante una lite, si è detta: «Ci risiamo». L’istituto di via Acqua Bullicante è «internazionale e molti italiani lo scelgono perché comprendono la ricchezza di una visione cosmopolita». Il corpo docente, spiega, «si impegna per ricucire le ferite di un tessuto molto labile. Con le associazioni del quartiere abbiamo creato un laboratorio aperto avvicinando le famiglie, coinvolgendo le mamme a essere le nostre mediatrici culturali. Bisogna fare uno sforzo in più, creare una rete con le agenzie educative del territorio e le istituzioni».
A marzo nel parco Sangalli è stato inaugurato il Giardino delle religioni, con quattro totem dedicati alle principali comunità religiose che animano il quartiere: induismo, cattolicesimo, bahá’í, islam. Il progetto “Sustainable religious tour – Sentiero itinerante alla scoperta del sacro a Tor Pignattara” è stato ideato da Marta Scialdone, Sara Altamore, Randa Khalil e finanziato dalla Sapienza. Atti di violenza come quello del 30 giugno provocano «grande dispiacere – afferma Scialdone, dottoranda in Storia delle religioni -. Si ha l’impressione di regredire ogni volta. Sembra che tutto sia vano, ma ci vuole impegno continuo, coinvolgendo i giovanissimi per far capire che non esiste nessuna differenza di razza, esiste solo la razza umana».
Nel quartiere, diverse le voci su su quanto accaduto. Guardando bimbi di varie nazionalità che giocano insieme sulle altalene, Franco riflette che «quando sono piccoli non notano le differenze fisiche come il colore della pelle o la forma degli occhi. Per loro, i compagni sono altri bimbi con cui giocare». Gli fa eco Lucio, per il quale «bisognerebbe evitare di crescere per conservare l’innocenza dei piccoli». Ma per Rita la «responsabilità è degli adulti. Siamo noi a inculcare i pregiudizi invece di educarli al rispetto e all’inclusione. Se da piccoli sono aperti verso tutti e poi cambiano, l’errore è di chi non li guida».
8 luglio 2024