Torna a splendere la “Madonna dell’Archetto”

Riapre, dopo il restauro, il più piccolo santuario mariano di Roma. All’interno opere di Brumidi che affrescò la cupola del Congresso di Washington

Riapre, dopo il restauro, il più piccolo santuario mariano di Roma. All’interno opere di Brumidi che affrescò la cupola del Congresso di Washington

È «il più piccolo Santuario mariano di Roma». Qui si venera l’immagine della Vergine “causa nostrae laetitiae”, meglio nota come Madonna dell’Archetto, data la sua collocazione sotto un piccolo arco che unisce due palazzi gentilizi. Commissionata dalla nobildonna Alessandra dei Conti Mellini Muti Papazzurri, venne dipinta su pietra nel 1690 dal bolognese Domenico Muratori, allievo del Carracci che si ispirò alla Madonna di Sassoferrato.

Frutto dei lavori iniziati nel 2014 per riportare all’antico splendore questo piccolo gioiello nascosto nelle viuzze del centro storico, giovedì 21 maggio è stato presentato il risultato dell’intervento conservativo della cupola e delle magnifiche pitture ad encausto di Costantino Brumidi. Un artista «molto più famoso negli Stati Uniti che da noi – spiega Paolo Giuntarelli, presidente della “Primaria associazione cattolica promotrice di buone opere” a cui il tempietto è affidato – perché è colui che, con la stessa tecnica, ha realizzato l’affresco della cupola del Congresso di Washington, negli Stati Uniti».

Ad innalzare la chiesetta – dichiarata monumento nazionale d’arte – fu Virginio Vespignani, ben noto architetto dell’Ottocento e collaboratore di Pio IX. Giovanna Benincasa, coordinatrice della scuola “Arti ornamentali”, che, con le allieve del livello di perfezionamento del Corso di restauro del dipinto, si è occupata del recupero, spiega che «la straordinarietà di questa gemma dell’architettura neo rinascimentale è nell’essere stata creata come struttura cinquecentesca all’interno di un vicolo che, all’epoca, collegava via di San Marcello a piazza della Pilotta». In una stradina tanto stretta e buia, pochi sanno che qui c’è un luogo cosmopolita nei suoi stessi elementi fondanti, a partire già dal pavimento della cappella, con la policromia resa dal marmo di Siena accanto al porfido, al rosso di Francia e al marmo africano. Il restauro, eseguito sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza per il Patrimonio storico artistico ed antropologico per il Polo museale della capitale, oggi restituisce la cappella alla devozione dei romani che alla Vergine si affidano, come già dal 1796 quando molti passanti videro la Madonna muovere gli occhi, in cerca di un sollievo dalle preoccupazioni della vita.

L’immagine, che tra i devoti ha avuto Massimiliano Kolbe e Giovanni XXIII, «ha un titolo molto bello: “Causa nostrae laetitiae”, tanto più che di letizia in giro non ce n’è tanta – commenta il vescovo Matteo Zuppi, ausiliare del settore Centro – e allora si cerca di comprarla da venditori d’ogni tipo. Ed è anche un titolo materno, di consolazione per l’uomo», sempre più impaurito. «Purtroppo teniamo molte chiese chiuse: questo significa che in un esercizio qualunque ci toglierebbero la licenza. Occorre invece lavorare per rendere ancora più bello ciò che abbiamo ereditato, altrimenti il cuore della città diventa solo un centro commerciale». Senza dimenticare che «trasmettere questa bellezza, anche a chi verrà dopo, è un atto dovuto. Insomma è da matti non farlo».

 

25 maggio 2015