Tor Vergata, Covid-4, qui «tutti danno il massimo»

L’esperienza del Policlinico nelle parole del commissario Frittelli. Il preside di Medicina: non siamo eroi. Il cappellano: vicini ai pazienti

Papa Francesco li ha definiti i «crocifissi di oggi», coloro che hanno dato un grande «esempio di eroicità accanto ai malati». Sono medici, infermieri, portantini, tutti gli addetti al servizio sanitario da oltre due mesi in prima fila per fronteggiare l’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Di questi 750 lavorano al centro Covid–4 del Policlinico Tor Vergata dotato di team multidisciplinari, dei reparti di terapia intensiva e di malattie infettive.

Ha 200 posti letto, 40 dei quali per la terapia intensiva. Al 21 aprile i pazienti ricoverati erano 110 di cui 17 in terapia intensiva e dall’inizio dell’emergenza si sono registrati 70 decessi. «Abbiamo stravolto l’organizzazione dell’ospedale in 20 giorni e messo in atto meccanismi di riorganizzazione che hanno comportato un ampliamento del pronto soccorso ora suddiviso in 3 aree», afferma il commissario straordinario Tiziana Frittelli.

All’esterno del pronto soccorso sono state montate due tende della Protezione civile per il pre–triage dove ai pazienti viene sottoposto un questionario e misurata la temperatura corporea. Quelli sui quali non grava nessun sospetto Covid passano per il cosiddetto “ingresso pulito”. I positivi al coronavirus e quelli sospetti invece, vengono immediatamente isolati e alloggiati in un’area apposita.

«Al momento la difficoltà maggiore è rappresentata proprio dai casi sospetti perché non abbiamo test molecolari rapidi – prosegue Frittelli –. Nonostante laboratori efficienti operativi h24 il tempo tecnico di ottenimento della risposta del test è di 5 ore». Ad oggi sono stati analizzati 9mila test molecolari e 1.200 sierologici. Sono stati inoltre potenziati i reparti di malattia infettiva che ora sono 4 (prima dell’emergenza ce n’era uno), assunti 40 specialisti tra i quali anestesisti e infettivologi, raddoppiata la pneumologia, adibita l’area subintensiva e quella dedicata ai pazienti Covid a bassa intensità.

Al personale sanitario va il plauso del commissario straordinario che con voce rotta dall’emozione ricorda «l’ansia terribile vissuta quando c’è stata scarsità di dispositivi di protezione individuale. La scelta avrebbe potuto essere quella di curare il paziente o quella di proteggere il nostro personale. Sono stati giorni terribili ma il Signore ci ha aiutato. Abbiamo messo in atto un sistema di sorveglianza sanitaria per il personale molto rigido e fatto test molecolari ad oltre il 60 per cento della popolazione interna. Siamo provati, stanchi e tutti hanno dato il massimo. Abbiamo organizzato un pronto soccorso psicologico per il personale e cerchiamo di favorire le relazioni tra pazienti e familiari attraverso videochiamate».

Il preside della facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Tor Vergata, Paolo Di Francesco, sorride pensando che i medici e il personale sanitario sono diventati gli eroi dei giorni nostri per via dell’emergenza Covid–19. «Non chiamateci “eroi” – dice –. Siamo gli esecutori di un giuramento. Abbiamo giurato di attenerci nella nostra professione ai principi etici della solidarietà umana e in questa situazione è l’unica cosa che possiamo applicare, niente di eroico». Attraversare i reparti di terapia intensiva «è sconvolgente» afferma, per il numero dei ricoverati.

«Agli studenti insegniamo a rifarsi ai principi di solidarietà e di ritornare a “sentire” il paziente, a vivere con lui». Per il dopo coronavirus auspica di modificare l’offerta formativa che deve «passare da quella tecnica a quella delle relazioni con il paziente, in questo momento amplificata al massimo. Siamo tutti molto coinvolti a livello emotivo, non eravamo abituati e preparati. L’emergenza può tirare fuori la parte migliore di tutti noi».

Per Massimo Andreoni, professore ordinario di Malattie Infettive della facoltà di Medicina e chirurgia dovremo imparare a convivere con il virus. «Si tornerà lentamente alla normalità – spiega – ma fino a quando non avremo le armi giuste per sconfiggerlo, l’unica strada percorribile è quella di conviverci contenendolo». Per ridurre i rischi di contagio sarà necessario mantenere le misure di protezione come l’uso delle mascherine, lavarsi frequentemente le mani e bisognerà mantenere distanziamenti sui mezzi pubblici ed evitare assembramenti di persone. «Credo che al momento sia necessario avere maggiore attenzione e maggiore capacità diagnostica – conclude –. Sono misure fondamentali per evitare che il virus continui a circolare».

Per il cappellano don Paolo Antonio Casu quella attuale «è una situazione che mette alle corde tutti. Ci adoperiamo per far sentire la vicinanza di Gesù e della Chiesa ai pazienti e agli operatori sanitari impegnati in un servizio molto duro con un’alta percezione del rischio. Provvidenzialmente questa cosa è accaduta in prossimità della Pasqua e per noi è stata l’occasione per riscoprire la meditazione della passione e morte di Gesù che non è la pagina finale della vicenda di Cristo, né della nostra storia personale. La pagina finale che dà senso a tutto è la resurrezione del Signore che continua a vivere in mezzo a noi».

27 aprile 2020