“This land is your land” torna a Washington per Biden

La canzone di Guthrie interpretata da Jennifer Lopez all’insediamento. Seeger e Springsteen la cantarono per Obama, recuperando il testo originale

Una canzone della musica popolare statunitense in diretta mondovisione, con la voce di Jennifer Lopez. “This land is your land” – insieme all’inno nazionale Usa (cantato da Lady Gaga) e ad “Amazing grace” interpretata dal cantante country Garth Brooks – è stata tra le protagoniste, nella mattinata di Washington a Capitol Hill, della cerimonia di insediamento di Joe Biden, 46° presidente degli Stati Uniti. Sia pure condensata dalla Lopez in un medley con la tradizionale “America the Beautiful”.

“This land is your land” fa parte del patrimonio della musica folk americana. «Questa terra è la tua terra», scritta da Woody Guthrie ottant’anni fa e pubblicata a metà degli anni ’40 del secolo scorso in risposta alla patriottica “God bless America” scritta da Irvin Berlin e cantata da Kate Smith. Quella di Guthrie la canzone del “noi”, che riecheggia nel discorso di insediamento di Biden, con i suoi appelli all’unità e a lavorare insieme per il futuro del Paese (a proposito di presidenti, il vero nome di Guthrie all’anagrafe è Woodrow Wilson, in omaggio all’esponente democratico eletto alla Casa Bianca nel 1912, l’anno della nascita del folksinger). Anche grandi interpreti della musica made in Usa ne hanno fatto una propria cover, da Bob Dylan a Bruce Springsteen.

Proprio il “Boss” del rock la cantò all’insediamento di Obama, il 20 gennaio 2009, con Pete Seeger, leggenda della musica folk americana, all’epoca novantenne. Abbiamo scelto di proporvi quella versione perché rappresenta ancora meglio il suo valore del “noi”, con quei bambini e ragazzi che la cantano alle spalle degli artisti e, davanti a loro, quella folla immensa ad unirsi al coro.

Dalla California a New York, dall’una all’altra parte dell’oceano, «questa terra – scrisse Guthrie come sottotitolo nel manoscritto originale – è stata creata per me e per te». E in fondo al testo aggiunse: «Tutto quello che puoi scrivere è quello che vedi». Come ripeté altrove: «Scrivo le cose che vedo, le cose che ho visto, le cose che spero di vedere, da qualche parte, in un posto lontano».

È anche il caso di questa canzone, dove nella terra dalle grandi opportunità e dai vasti spazi («mentre camminavo lungo quell’intreccio di strade … guardai quella valle dorata sotto di me», «ho vagato e girovagato e sono tornato sui miei passi fino alle sabbie scintillanti dei suoi deserti di diamanti», «i campi di grano ondeggiavano») risuona quella voce: «questa terra è stata creata per te e per me».

Ma non è tutto oro quel che luccica, potremmo dire, e Guthrie lo sapeva bene, visto che da ragazzo si scontrò con la Grande Depressione che investì gli Stati Uniti e che portò alla crisi anche l’azienda del padre (solo una delle tante esperienze dolorose che Woody visse nel natio Oklahoma). Tempi duri, tanto che nel testo originario di “This land is your land” ci sono due strofe (non inserite nella prima versione ma poi recuperate successivamente) che cantano la difficile condizione di quell’epoca (e non solo di quella), la vita di stenti, la difficoltà di trovare lavoro, il “sogno americano” in frantumi.

«Me ne andavo in giro camminando quando vidi un cartello laggiù e sul cartello c’era scritto: “Vietato entrare” / Ma dall’altra parte non c’era scritto proprio nulla / Quella parte è fatta per te e per me». All’ombra del campanile ho visto la mia gente vicino all’ufficio dell’Assistenza sociale» (la fila per il sussidio), «ho visto la mia gente mentre loro stavano lì in coda affamati, ero lì che mi chiedevo: è questa la terra creata per te e per me?». Parole dimenticate che Springsteen e Seeger inserirono a Washington nel 2009 davanti a Obama e alla folla che li ascoltava. Non solo, ne aggiunsero un’altra inserita da Guthrie quando preparò una copia ciclostilata del suo canzoniere: «Nessuno sulla Terra potrà mai fermarmi / mentre cammino su questa strada della libertà / Nessuno sulla Terra potrà mai farmi tornare indietro».

All’inizio del 2021 questa canzone è tornata per un insediamento presidenziale a Washington, dove quasi sessant’anni fa Martin Luther King parlò di difesa dei diritti e di giustizia e dove è risuonato il ritornello che in fondo dovrebbe essere il canto di ogni popolo per la condivisione e l’unità, «questa terra è la tua terra, questa terra è stata creata per te e per me».

21 gennaio 2021