Tesoretto ai poveri, no a un nuovo “bonus-Renzi”

Con 1,6 miliardi possibile l’avvio di un Piano nazionale contro la povertà. Fra le ipotesi anche un ulteriore “bonus”. L’opposizione di Acli e Caritas

Con 1,6 miliardi possibile l’avvio di un Piano nazionale contro la povertà. Fra le ipotesi in campo anche un ulteriore “bonus”. L’opposizione di Acli e Caritas

Tutti contro il bonus: “Misura sbagliata”, “Disperde risorse”, “Non aiuta i poveri”. Si sprecano le proposte in queste ore sul come utilizzare il cosiddetto “tesoretto” di 1,6 miliardi di euro che il governo ha promesso di impiegare al meglio, e anche quelli che sperano sia usato a tutto vantaggio dei più poveri dicono chiaro e netto che no, per favore, risparmiateci un altro, nuovo bonus Renzi. Sia esso di 80 euro al mese (come quello Irpef o come il bonus bebé), o di 40 euro o di 160, poco importa: un bonus di quel genere per i poveri non serve. Sì invece, e con convinzione, a un piano nazionale di contrasto alla povertà, a una misura che affianchi ad una erogazione monetaria anche un accompagnamento con una serie di servizi mirati al superamento della condizione di povertà.

Al momento, le ipotesi su come usare la disponibilità aggiuntiva che il governo ha individuato nel Def (Documento di economia e finanza) grazie all’aumento del rapporto Deficit/Pil, sono varie e ancora poco definite. Di certo c’è che il ministro dell’Economia Padoan ha parlato di un «sostegno ai redditi più bassi», mentre il collega del Welfare Poletti parla di risorse per «la parte più debole della società». In termini di contrasto alla povertà, le ipotesi più chiacchierate sono due: una è quella di un vero e proprio piano antipovertà (anche partendo dalla sperimentazione del “Sia” partito in dodici grandi città); l’altra è quello di un bonus fiscale che vada a chi ha redditi sotto gli 8mila euro annui, coloro che attualmente sono esclusi cioè dal bonus Renzi degli 80 euro al mese destinati ai lavoratori dipendenti con redditi fra 8 e 26mila euro.

Proprio contro quest’ultima ipotesi ragionano i responsabili di Acli e Caritas italiana, le due realtà intorno alle quali è nata quell’Alleanza contro la povertà che porta avanti da tempo la proposta del Reis, una misura universale di contrasto alla povertà assoluta composta da un intervento monetario e da una serie di servizi alla famiglia. «La logica del bonus – dice il responsabile dell’Area nazionale di Caritas italiana Francesco Marsico – va evitata perché questi bonus non costruiscono politiche ma disperdono risorse». Il bonus è una «misura temporanea» e proprio «misure temporanee costellano i tentativi di costruire politiche sociali fatti in passato da diversi governi: in questo senso guardare a ritroso la politica dei bonus che è stata fatta in passato dovrebbe dare qualche insegnamento a chi vuole intervenire in questa materia». «Dare un bonus fiscale a chi non compila neppure la dichiarazione dei redditi è inutile», dice il presidente delle Acli Gianni Bottalico, per il quale vanno studiati «strumenti diversi contro la povertà assoluta e contro la povertà relativa». Ai poveri assoluti serve l’erogazione monetaria ma anche un insieme di servizi: «Dare solamente i soldi si rivelerebbe inutile per rimuovere le cause».

Sulla stessa scia è anche Maria Cecilia Guerra, oggi senatrice Pd, che nei governi Monti e Letta aveva seguito proprio la nascita del “Sia”, la sperimentazione di una nuova social card che unisce soldi e servizi. «Le politiche di welfare – dice – non si fanno con i bonus, ci vuole una programmazione che colga la multidimensionalità del fenomeno della povertà». Oggi le misure contro la povertà sono categoriali, cioè riguardano solo gli anziani, solo i lavoratori, solo i minori, e così via, mentre secondo Guerra serve una «misura universale» con accesso definito a livello nazionale (vi rientrano tutti i nuclei familiari in una data condizione economica) e una gestione da parte dei Comuni (insieme ad altri soggetti pubblici e privati). «Ci vuole una politica permanente e non certo un bonus: non è con il bonus, con una gestione una tantum, che si sconfigge la povertà». Ma c’è anche un’altra ragione per cui il bonus non è uno strumento adatto nel contrasto alla povertà: quest’ultima infatti ha una dimensione familiare. La condizione da valutare cioè è sulla condizione economica del nucleo familiare. Del nucleo familiare, non della singola persona: «Un giovane in cerca di lavoro che vive a casa con i genitori che stanno bene non è in condizione di povertà ma se è uscito dalla famiglia di origine per costruirsi un suo nucleo può aver bisogno di un supporto immediato; allo stesso tempo una persona che non lavora ma ha un coniuge con un buon reddito non è in una condizione di povertà: soggettivamente è disoccupato, inattivo e probabilmente attivabile, ma magari non vuole farlo o non è interessato a farlo. La povertà si valuta sulla famiglia, e questo è un altro motivo per cui il bonus non è la soluzione giusta, visto che il bonus che viene erogato con il sistema fiscale o in base alla condizione lavorativa del soggetto non tiene conto della dinamica familiare».

14 aprile 2015

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