Terra Santa, cristiani stanchi di pagare il prezzo del conflitto israelo-palestinese

Lo sfogo raccolto da Aiuto alla Chiesa che soffre: «I pellegrini hanno paura e non arrivano più». L’appello: «Continuate a visitare i luoghi santi»

Lo sfogo raccolto da Aiuto alla Chiesa che soffre: «I pellegrini hanno paura e non arrivano più». L’appello: «Continuate a visitare i luoghi santi»

«Ogni volta che si registrano scontri tra le due fazioni, l’attività resta inattiva per lungo tempo e sono costretto a contrarre debiti per dare di che vivere alla mia famiglia e mandare i miei figli a scuola. Ma non posso continuare così». A parlare è Alfred Raad, un negoziante cristiano di Gerusalemme. «I pellegrini – continua – hanno troppa paura e non visitano più la Terra Santa. Noi cristiani paghiamo un prezzo per ogni ondata di violenza, ogni intifada».

Uno sfogo, quello di Raad, raccolto dalla fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre. Nelle sue parole, il racconto di quanto le tensioni tra israeliani e palestinesi influiscano sull’unica fonte di sostentamento degli ormai pochissimi cristiani rimasti in Terra Santa: il turismo. Sulla porta della sua piccola attività, un poster di Papa Francesco che invita i clienti a entrare, ma non c’è nessuno a rovistare tra rosari, candele e altri articoli religiosi. E come in quello di Alfred, anche nei tanti altri negozi di articoli sacri gestiti da cristiani non ci sono clienti.

Tra le principali cause del massiccio esodo di critstiani dalla Terra Santa ci sono proprio difficoltà economiche e disoccupazione. La comunità che nel 1947 costituiva il 20% della popolazione, oggi raggiunge a stendo il 2%. Il settore turistico e la produzione di articoli sacri sono le uniche possibilità di impiego. In particolare, l’arte di realizzare manufatti in
madreperla o in legno di ulivo è un’antica tradizione importata dai padri francescani nel XV secolo, riferiscono da Aiuto alla Chiesa che soffre, e tramandata di generazione in generazione. «Per le famiglie di fedeli questa arte rappresenta un’espressione della propria
identità religiosa e al tempo stesso un mezzo di sostentamento che consente
loro di continuare a vivere nel proprio luogo natio».

A sottolineare l’importanza della presenza cristiana nella regione è anche padre David Neuhaus, gesuita incaricato della pastorale dei cristiani di lingua ebraica. «Noi costituiamo circa il 2% sia in Palestina che in Israele e siamo chiamati ad essere ponti di pace. Ecco perché dobbiamo impegnarci a promuovere i valori in cui crediamo all’interno di entrambe le società». Il timore è che lo scontro tra Israele e Palestina possa creare una frattura tra i cristiani dei due “fronti”. «La Chiesa – afferma – è fortemente impegnata nel promuovere l’unine in seno alla comunità cristiana. È una vera sfida: se le divisioni nazionali sono reali, specie in questi giorni di conflitto che stiamo vivendo, altrettanto reale deve essere
l’unità che deriva dalla nostra fede».

Attraverso Acs, il commerciante lancia un appello ai fedeli di tutto il mondo: «Continuate a visitare la Terra Santa, è l’unico modo per sostenerci. Se noi cristiani non vivessimo più
qui, la Città Vecchia e la Chiesa del Santo Sepolcro diverrebbero un museo. E in Terra Santa non vi sarebbero più pietre vive».

29 ottobre 2015