Terapie familiari in aumento, impatto del lockdown sui ragazzi

L’isolamento e l’abuso dei social, ma anche il clima di incertezza sociale pesano sullo stato emotivo. Necessari spazi di condivisione e di sostegno

Uno sguardo d’insieme e allo stesso tempo analitico del mondo in cui viviamo può creare le basi su cui poggiare il cammino di un nuovo anno ricco di possibilità e allo stesso tempo non privo di incertezze e di sfide. La crisi politica in questi giorni ha portato alla luce un parametro fondamentale: cercare “persone responsabili e costruttrici” con cui creare un piano di lavoro e proseguire nella legislatura. Ho sempre creduto che ogni cittadino, salvo eccezioni, dal compimento della maggiore età, avendo il diritto/dovere al voto, fosse una persona responsabile e attiva alla vita pubblica e potendo scegliere il proprio percorso di vita diventasse costruttore di sé stesso e contribuisse alla costruzione della società, impegnandosi con competenza e responsabilità nei diversi ambiti. Una società esiste e progredisce con l’impegno e la partecipazione di ogni singolo cittadino, c’è dunque bisogno di un appello?

Cosa sta accadendo per cui il confronto democratico anziché valorizzare le differenze, che favoriscono la dialettica e l’ampliamento di vedute, diventa un impedimento a procedere? Cosa sta accadendo nel “mondo dei social” dove in questi tempi di pandemia da mezzi maggiormente utilizzati per approfondire tematiche, per condividere pensieri, creare spazi di dibattito, così come nel passato si faceva nei circoli culturali, nelle piazze o in qualsiasi spazio aggregativo, oggi si mostrano censori chiudendo profili privati, di gruppi e anche di testate giornalistiche se non sono “allineate” ad un’unica modalità di pensiero? Non voglio entrare in merito alla possibile faziosità a cui siamo abituati, in cui questa riflessione potrebbe rischiare di incorrere, ma come psicoterapeuta osservo gli effetti che quanto accennato sta producendo.

Dopo la pausa estiva, che da un iniziale entusiasmo ed ottimismo ha lasciato il passo al riacutizzarsi della “crisi pandemica” e ai suoi effetti su tutti gli ambiti privati e sociali, il consultorio ha registrato un aumento delle richieste di terapie familiari, di coppia e di adolescenti. Le problematiche o dinamiche presentate in alcuni casi erano espressione di una “naturale evoluzione” delle fasi di una famiglia che in altri tempi, probabilmente, non sarebbero arrivate ad una consulenza, mentre in altre situazioni, più gravi, gli stati di angoscia hanno creato dinamiche esplosive tra i membri della famiglia o implosive in un figlio come nei casi di tentativi di suicidio, negli episodi autolesionistici o in disturbi di varia entità.

Possiamo ipotizzare che il clima di incertezza sociale, politico, sanitario, dove spesso le considerazioni scientifiche e politiche appaiono confuse, incerte e portatrici di ambivalenza così come le scelte operative, espresse nei dpcm, spesso poco comprensibili, creino emotivamente e psichicamente un “lockdown” se non addirittura un “blackout”. Le famiglie che avrebbero potuto affrontare dinamiche evolutive naturali risultano sfibrate, esaurite, senza sapere cosa fare e come stare nella complessità delle dinamiche familiari come se fossero state private della possibilità di ascolto e di poter utilizzare le risorse che ogni famiglia mette in gioco nel naturale procedere e nell’incontrare le difficoltà e la complessità del vivere. Ci sono poi “le famiglie nella tempesta” dove l’angoscia e le problematiche diventano più rigide e disarmoniche da richiedere un intervento terapeutico e quelle che incontriamo sono situazioni che nel passato erano statisticamente più rare.

Tali osservazioni cliniche sono supportate dal dottor Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù, che ha lanciato un appello rispetto alla gravità della condizione degli adolescenti registrando un aumento dei tentativi di suicidio e di autolesionismo tali da saturare gli spazi di accoglienza in ospedale. Vicari richiama ad un’attenzione ed una presa in carico dell’impatto che l’isolamento e la prolungata chiusura delle scuole ha sui giovani, sui livelli di sofferenza che sfociano anche in episodi di raduni violenti tra ragazzi in diverse città, rischiando di etichettarli come capricciosi e annoiati. L’isolamento, il lockdown, la didattica a distanza, il non avere un confronto reale con i coetanei ha un impatto emotivo e psichico sui ragazzi che non riescono a mediare con le loro pulsioni e i pensieri. Non in ultimo il preoccupante abuso dei social, come TikTok, dove i ragazzi non solo si confrontano rispetto ad una visibilità ma arrivano a sfidarsi in prove estreme di resistenza rischiando la morte, come ad esempio nel “Blackout o Hanging challenge”, e in diversi casi finendo in tragedie come per Antonella, la bambina di Palermo, morta soffocata pochi giorni fa.

Una ragazza di 15 anni, che chiamerò Alice e che incontro da novembre, mi racconta come «non sa cosa le accade ma che fa cose che non dovrebbe fare, cose che nella società sono considerate non buone»; chiedendole di farmi capire cosa intende per cose non buone, lei mi racconta che è finita in ospedale per coma etilico e che non ha ricordi di come sia andato “quel pomeriggio di ottobre” quando si è incontrata con le amiche al parco e per noia, per voler provare emozioni forti, visto che in questi tempi non sente nulla, ha voluto bere. Ma forse ha esagerato! Dichiara che vorrà continuare a bere, le piace molto la sensazione di “testa leggera”, la aiuta a non pensare, ma che forse non è il caso di arrivare a un ricovero anche perché si vergogna del giudizio degli altri e dei genitori. Racconta di come ogni tanto si procuri dei tagli “scegliendo” zone del corpo che a un occhio attento non sfuggirebbero e magari permetterebbero di capire che c’è qualcosa che non va, ma lei trascorre gran parte del tempo in casa, chiusa in camera, uscendo solo per andare in cucina e “saccheggiare la dispensa”. Non sa cosa le accade, non ha pensieri, dichiara di non sentire nulla quando si abbuffa o si taglia o beve, sa che non riesce a controllarsi e non ne parla con nessuno perché quando esce con le amiche è preoccupata solo di piacere e di parlare di “cose leggere”.

A casa i genitori sono separati e la madre le dà “consigli” di come fare una buona dieta, ma da quando ha 10 anni la segue senza risultati; il padre lo incontra poche volte in modo da non approfondire nulla; le compagne di scuola non sono quelle con cui esce e da quando ha iniziato le superiori le conosce poco, non ha creato relazioni vista la difficoltà con la Dad. Tutto è insapore, incolore, senza emozioni, musica, bellezza. Gli stessi colloqui sono spesso un cercare di “connettermi” ad Alice, incontrando fatica e frustrazione, ma lei alla fine mi dice “ci vediamo il prossimo mercoledì, doc” e lì comprendo quanto il nostro spazio sia vitale per poter creare le condizioni in cui Alice possa incontrarsi e possa dialogare con sé, a modo suo, con la possibilità di non essere sola e isolata con l’angoscia e i suoi derivati.

In tempi di appelli alla responsabilità e alla presenza di costruttori sociali mi unisco al dottor Vicari e ai tanti colleghi psicoterapeuti che sottolineano come siano necessari spazi di condivisione e di sostegno ai ragazzi e alle famiglie, dove la scuola torni ad essere un luogo sicuro di incontro e di formazione, un luogo di mediazione tra i pensieri e la realtà, un luogo sostenuto e protetto dalla politica con scelte immediate di ritorno in presenza, in sicurezza non solo fisica ma anche psicologica, creando una rete di sostegno con progetti che includano i trasporti, il personale scolastico, gli insegnanti, i genitori, la famiglia nella sua interezza. Oggi più che mai c’è bisogno di politica responsabile e non di campagne ideologiche, e come sostenuto da più voci: «Nessuno si salva da solo!» (Laura Boccanera, psicologa e psicoterapeuta familiare)

29 gennaio 2021