Tendopoli, un’«oasi» per gli eritrei

Vita quotidiana di 140 persone alla tensostruttura della Croce Rossa accanto alla stazione Tiburtina. L’attesa per il viaggio nei Paesi del Nord Europa

Vita quotidiana di 140 persone alla tensostruttura della Croce Rossa accanto alla stazione Tiburtina. L’attesa per il viaggio nei Paesi del Nord Europa

Undici tende, una mensa, un posto di primo soccorso, due magazzini, bagni chimici e docce, una rete da pallavolo, una porta da calcio per 140 migranti. Si lavora senza sosta nella tendopoli allestita dalla sezione provinciale di Roma della Croce Rossa Italiana, appena fuori l’atrio est della stazione Tiburtina, dal lato di Pietralata. Un terreno che prima era zona di cantiere, ora è diventato una piccola parte di Eritrea. Dal 13 giugno, qui, sono ospitati alcuni migranti sbarcati in Sicilia che aspettano di prendere un treno o un pullman che li porti in Germania o in Svezia, le mete più gettonate. La tendopoli è sorta per dare man forte al centro di prima accoglienza Baobab che, nei giorni dell’emergenza del transito dei migranti a Roma, ha aperto le porte offrendo un alloggio e un pasto ad oltre 800 persone.

«Da quando abbiamo allestito il campo siamo sempre stati pieni – ammette Giorgio de Acutis, collaboratore area e attività sociali di Croce Rossa Roma – . Abbiamo donne con bambini, ora ce ne sono cinque che vanno dagli otto mesi ai 6 anni. C’è qualche adulto, mentre la maggioranza sono minori non accompagnati. Di solito rimangono tre giorni, alcuni invece restano una settimana. Il tempo di avere i soldi per il biglietto del treno o del pullman, per raggiungere i parenti nei Paesi del Nord Europa». La loro giornata è scandita da orari ben precisi: alle 8 la sveglia, poi è servita la colazione fino alle 9.30. Dalle 10 alle 11.30 c’è la distribuzione dei vestiti. Non c’è possibilità di lavarli, quindi, dopo due, tre giorni al massimo, sono sostituiti. Alle 12 c’è il pranzo, nel pomeriggio principalmente riposano oppure girano per il quartiere.

Molti adorano giocare: «Sono bravissimi a pallavolo – dice una volontaria del campo -, ci hanno detto che nel loro Paese è lo sport più diffuso. Inoltre, sono molto collaborativi: ci aiutano a tenere pulito, fanno piccole cose, come buttare la spazzatura. Sono civili e istruiti. Hanno grandi aspettative dall’Europa e l’impressione è che non si rendano ben conto di quello che gli sta realmente accadendo».

Una volta ogni due giorni sono visitati da un medico, così come i bambini da un pediatra. Nessun caso sanitario particolare, pochissimi quelli affetti dalla scabbia, che sono guariti in pochi giorni. Il vero ostacolo è la lingua: difficile comunicare con loro. Solo una minima parte parla un po’ d’inglese. A breve, grazie ad un accordo con le associazioni eritree di Roma, dovrebbero arrivare dei mediatori culturali. «In molti hanno storie tremende alle spalle – racconta Daniele, uno dei primi volontari del campo -, hanno passato anche un anno e mezzo in viaggio, attraversando chilometri di deserto senza bere e mangiare, fino ad arrivare ai porti da dove poi si sono imbarcati. Molti sono stati prigionieri in Libia e ne portano i segni sul corpo. Quando arrivano qui, la prima cosa che fanno è lavarsi, mangiare e poi riposarsi. Per loro questa è un’oasi».

Da quando è sorta la tendopoli, così com’è avvenuto per il centro Baobab, sono state moltissime le donazioni di ogni tipo provenienti dai romani: «Cittadini veramente di cuore – ammette una volontaria di lungo corso – ed è un flusso continuo di gente. Portano quello che possono e vengono da tutta Roma, anche da zone molto lontane. Oggi, è venuta una signora dal quartiere La Rustica, mentre un anziano ha portato una crostata fatta da lui».

Il campo non dispone di una cucina, quindi il pranzo viene principalmente servito freddo, mentre per la cena si cambia: «I volontari della Croce Rossa dei comitati di alcuni Municipi, così come le parrocchie, la mattina vengono qui e prendono parte del cibo donato. Lo cucinano e lo riportano la sera per la cena. Al momento abbiamo bisogno soprattutto di tonno, mele e pane in cassetta. Sul fronte vestiario, di cinte, canottiere, calzoncini, calzini corti per scarpe da ginnastica, tutto al massimo di taglia 44 e anche degli zaini». «Rimarremo qui finché ce ne sarà bisogno – ammette de Acutis -, di solito il flusso delle migrazioni è continuo fino ad ottobre. Sappiamo, però, che il Comune di Roma vuole allestire un edificio di zona per l’accoglienza dei migranti. Noi saremo comunque qui finché avremo il permesso e di certo fino a che non ci sarà una valida alternativa».

30 giugno 2015