Tempo da Covid, le complessità hanno investito di più gli adulti

La vera novità? Il nostro viaggio forzato in un modo di vivere le relazioni che i ragazzi abitano da anni, ovvero mediate dal mezzo

Sembrerebbe impossibile scrivere qualcosa di sensato in questo periodo, ma del resto non potremmo che scrivere di questo periodo. Per altro, se c’è un aspetto veramente nuovo e poco ribadito che questo tempo ha portato in dote, è stato proprio il planetario esercizio di elaborazione scritta e collettiva del trauma, al quale tutti abbiamo partecipato: con un articolo, qualche post, caterve di messaggi su WhatsApp.

Circoscrivendo la riflessione al campo educativo, a oramai più di un mese e mezzo di didattica a distanza, è evidente come questo tempo abbia mostrato tante di quelle complessità da fornire materiale per anni a chi volesse esercitarsi nell’analisi di ciò che è stato. Eppure, mi pare di potere dire che, per certi versi, tali complessità abbiano investito in modo traumatico più noi adulti che i nostri adolescenti. Provo a spiegarmi.

scuola a distanza, ragazzo studia a casaA un certo punto, con il passare dei giorni, confrontandomi direttamente con i miei studenti ma anche osservando i miei due figli adolescenti, ho avuto la percezione di come in questo tempo in cui abbiamo desiderato come l’aria i corpi e gli spazi, a fronte di una mancanza comune a tutti, adulti e ragazzi, la vera novità sia stata il viaggio forzato di noi adulti in un modo di vivere le relazioni che i ragazzi abitano da anni, ovvero mediate dal mezzo.

Ho provato a discutere di questa impressione con i miei due figli. Entrambi, pur confermandomi la mancanza dolorosa della routine da studente, dello stare insieme, della vasca in centro il sabato pomeriggio, hanno ammesso abbastanza a cuor leggero come nelle loro relazioni non fosse poi cambiato troppo, o non in modo così drammatico come potremmo immaginare. Gran parte dei rapporti, a loro dire, avrebbero cioè continuato a svilupparsi come sempre, ovvero tramite la chat di WhatsApp e quella di Instagram.

adolescenti e smartphone, videochiamate, quarantenaHo condiviso questi pensieri con un insegnante che stimo profondamente e con il quale da tempo mi confronto, deo gratias, spesso partendo da posizioni opposte. Mi ha risposto così: «Credo che gli adolescenti potenzino il loro contatto attraverso i social, ma un contatto che ha una base fisica, corporea. Gli adolescenti stanno vicini e ammassati. Le sensazioni fisiche e ormonali che si provano a contatto con gli altri, si sentono istintivamente, la testa possono perderla pure in un amore a distanza, ma che c’entra quello che vivono ora con il perdere la testa per l’odore, il profumo, la movenza e i ferormoni della vicina di banco? Niente». Gli ho risposto di condividere gran parte di quello che mi ha scritto, ma di avvertire comunque una discontinuità, o meglio, una novità che permane. In fondo l’avere scritto di questo è anche un modo per allargare il confronto con chi segue questa rubrica.

Quello che è successo in questo tempo ha sconvolto la vita di tutti, è vero. Ma ha anche messo in evidenza fenomeni che forse prima notavamo poco. I nostri adolescenti sembrerebbero stufi, ma non traumatizzati come noi adulti da questa vita in absentia. Come si legge questa diversità? Si tratta semplicemente di inconsapevolezza? Di una consapevolezza diversa? Altra? E quanto eravamo noi pronti a un mondo che forse c’era già da un pezzo?

29 aprile 2020