Tarzia: il ddl sul fine vita spalanca le porte all’eutanasia

La denuncia all’incontro promosso dal Movimento per la Vita nell’ambito della Settimana della famiglia. L’esperienza dell’associazione Risveglio accanto ai malati in stato vegetativo. Proietti (Gemelli): «Enormi progressi» nella medicina

Il disegno di legge sulle Dat, attualmente in discussione alla Commissione Igiene e Sanità del Senato, spalanca le porte all’eutanasia. A fronte di ciò, la strada virtuosa per impedirne l’approvazione o, quantomeno, limitarne i danni, è quella di informare il più possibile l’opinione pubblica e, al tempo stesso, coltivare giorno per giorno una cultura della vita. Lo ha sottolineato Olimpia Tarzia, consigliere regionale, vicepresidente della Commissione cultura alla Regione Lazio e cofondatrice del Movimento per la Vita, nel corso della tavola rotonda sul tema “Nessuna vita è da scartare” organizzata nell’ambito della Settimana della Famiglia, promossa dal Movimento per la Vita di Roma e ospitata nella serata di ieri, 4 ottobre, dalla parrocchia di Santa Maria Goretti.

Tarzia ha sottolineato le numerose criticità del ddl sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), premettendo che lo scenario sanitario nazionale è già piuttosto penalizzato dalla frequente dispersione dei fondi destinati alla sanità e alla disabilità, tuttavia la questione è «antropologica» e rivela una «schizofrenia» che si manifesta nell’intera società: «Come mai molti si stracciano le vesti per l’assenza di barriere architettoniche per i disabili e poi nemmeno li facciamo nascere?», si è domandata.

Quella sulle Dat, ha aggiunto Tarzia, è una legge di cui «non c’era bisogno» e che, nonostante i numerosissimi emendamenti in discussione al Senato, presenta non pochi «punti inaccettabili». In primo luogo, a dispetto di quanto affermano i parlamentari proponenti, è una legge che «porta all’eutanasia», in quanto «alimentazione e idratazione fanno parte della terapia e il paziente non può dire di no». Inoltre l’impianto del ddl tende a scardinare l’alleanza tra paziente e medico, riducendo quest’ultimo a «mero esecutore testamentario». Come se non bastasse, l’obiezione di coscienza è garantita in modo incompleto, nel senso in cui «vale solo per il singolo medico non per la struttura». Di fronte a questo scenario, ha concluso la cofondatrice del Movimento per la Vita, è fondamentale non cedere a una «rassegnazione» che, oltretutto, «non è cristiana» ma usare «il dialogo e la ragione» per diffondere una «cultura della vita» che «non divide ma unisce» e che va «coniugata con l’etica sociale».

Al dibattito, moderato dal presidente del Movimento per la Vita romano Antonio Ventura, è intervenuto anche Rodolfo Proietti, professore emerito di Anestesia e Rianimazione al Policlinico Gemelli di Roma. Il medico ha sottolineato gli «enormi progressi» compiuti dalla medicina, specie nell’applicazione dei macchinari, che hanno consentito un notevole prolungamento della vita, anche nelle menomazioni più gravi: si pensi «ai trapianti, alla ventilazione meccanica, all’alimentazione artificiale, fino alla dialisi e al fegato artificiale». La vera sfida, quindi, è quella di «accendere i fari» su una «evidente schizofrenia» che investe la medicina moderna, per la quale la difficoltà più grande è nel mettere in relazione il medico con la famiglia, «specie quando il paziente non può esprimere in modo chiaro il suo consenso».

Francesco Napolitano, fondatore dell’associazione Risveglio, ha raccontato la sua esperienza a stretto contatto con persone in stato di gravissima disabilità, finanche in stato vegetativo, ospitate presso la Casa Iride. Curare queste persone – visitate lo scorso anno da papa Francesco durante uno dei Venerdì della Misericordia del Giubileo -, donare loro affetto, ha affermato, paga sempre e dà un senso concreto al principio di dignità inviolabile di ogni vita, dissuadendo i familiari da qualunque intenzione di abbandono terapeutico. «Un paio di settimane fa – ha raccontato Napolitano – abbiamo portato cinque di loro al mare, a Ostia. Inizialmente le famiglie erano perplesse: l’organizzazione e il trasporto sembravano troppo complicati. Poi, quando siamo arrivati sul lido, abbiamo visto cambiare le loro espressioni sul viso. La gratificazione più grande è stata quando i familiari mi hanno detto: “Francesco, quando lo rifacciamo?”».

5 ottobre 2017