Superare l’egoismo

Settembre 1978, a Roma si torna a sparare. Due morti all’Appio e al Prenestino. Clima pesante in città. Il cardinale Poletti: «Frutti di morte»

L’angoscia profonda e senza parole per l’improvvisa morte del Papa Giovanni Paolo, tuttavia pacata ed anche rasserenante nella fiducia in Dio che non abbandona gli uomini suo figli, non distoglie la nostra attenzione dagli altri lutti che affliggono tante famiglie di Roma, ed anche oggi coll’efferato delitto dell’Alberone contro il giovane Ivo Zini, a causa della violenza. Il nuovo crimine si aggiunge all’insensato assassinio di Giovanni Lattanzio di Torre Angela. Per i morti preghiamo: ma soprattutto per i vivi! A conforto dei familiari in lutto; a riflessione e riscoperta di responsabilità di ogni cittadino contro la violenza di incontrollati puntigli, presunzioni o ideologie distorte. Resistere contro le radici del male è il solo rimedio contro i frutti di morte maturati nel clima della paura, dell’irresponsabilità, e della violenza cieca. (Ugo Cardinale Poletti, Vicario Generale)

A Roma, dal 19 settembre, si è tornato biecamente a sparare. Due morti (Giovanni Lattanzio, sulla Prenestina, e Ivo Zini, all’Alberone) e quattro feriti (Paolo Lanari, Pasquale Granato, Vincenzo Di Blasio e, infine, il 3 ottobre, Sergio Mariani) il risultato. Al di là della commozione e del dolore cittadini per la morte improvvisa di Giovanni Paolo I, il clima nella Capitale – quante volte comunque questo è stato già scritto e letto è stato già scritto e letto – è pesante, alimentato per di più, inesorabilmente, dalle notizie provenienti dal resto del paese. A Torino, un capo-officina della Lancia, Pietro Coggìola, è stato assassinato dalle Brigate Rosse, le quali, a Milano, poi, avrebbero anche sparato alle gambe di Ippolito Bestonso, dirigente dell’Alfa Romeo. Non è tutto, purtroppo: a Napoli, nella tarda serata di sabato 30 settembre, al Vomero «picchiatori aggrediscono e percuotono selvaggiamente due giovani, solo perché sorpresi a leggere il quotidiano “Lotta continua” davanti a una birreria» («Il Giorno», 2 ottobre). Dei due studenti, Claudio Miccoli, 19 anni, è stato ridotto in fin di vita, l’altro, Giuseppe Aversa, 24 anni, è stato ferito in modo non preoccupante.

È un’avvilente e crudele sequenza criminale. Esimersi dal tentare di capirne le ragioni sarebbe colpevole e altrettanto delittuoso; fare fino in fondo, cioè, il gioco di chi sta cercando cinicamente di buttare tutto nell’indifferenza. Si sta accomunando l’amore all’odio, le legalità all’illegalità, la tolleranza all’intolleranza dopo avere approntato, sembra, un attacco frontale ai valori dell’umanità. Nessuno si sente più sicuro, si diffida persino di amici ai quali ci si è confessati fraternamente, si è a un passo, insomma, dal dramma più completo (se non lo si vuole capire). Non si tratta, infatti, più di difendere la propria libertà personale ma quella dell’intero Paese; non è in discussione il futuro democratico di Roma ma di tutta l’Italia. È bene che facciano propria questa tragica evenienza cattolici e laici (senza che, a ogni battuta, costoro debbano necessariamente richiamarsi ai valori della Resistenza e della lotta antifascista).

Non è più sufficiente affermare, in questo frangente, che «sono solo giovani a sparare» perché ci troveremmo davanti a una diagnosi troppo pericolosa per la sua semplicità, troppo sbrigativa, se non scomoda, nonostante il margine di «autentica» apparenza da chiedersi da chi siano state educate queste «pecore nere», per quale arcano motivo sia loro permesso di funestare così la nostra convivenza civile. Appellarsi al fenomeno della crescita «monstre» della periferia romana? alla disoccupazione giovanile o alla piaga della droga (che, sia detto tanto per inciso, non attecchisce solo tra i più emarginati)? Non lo crediamo concreto. La verità è diversa, e si colloca in quell’ampio e deleterio egoismo individuale che, preso ormai piede e arroccato sulla fesa di beni fittizi ed esclusivamente materiali, sta consentendo a pochi gruppi, indubbiamente ben organizzati, di spadroneggiare ovunque seminando morti.

Molte famiglie – amara e ben triste constatazione – sospirano di sollievo se i loro figli rientrano a casa presto, la sera, come se ciò bastasse a tenerli lontano dalla droga o dalle sparatorie «ideologiche». Egoistico, se non inumano, tale atteggiamento, specie quando si è a conoscenza che la famiglia Lattanzio piange il proprio Giovanni, assassinato per aver calpestato un piede a un coetaneo, o quella Zini è disperata perché un proiettile, sparato (come sempre) da mano anonima, ha troncato la vita del figlio Ivo, intento a leggere gli spettacoli cinematografici su un quotidiano.

È giunto dunque il momento, che, del resto, non appare più procrastinabile, di attuare maggiormente le parole di chi, duemila anni addietro, si sacrificò per il bene e il progresso dell’umanità, di diventare quindi seriamente «fratelli», nel bene come nel male. Apocalittico tutto ciò? Non quando però, come scrisse Joseph Forth Newton, «ognuno di noi sa che nell’intimo del cuore ogni uomo è tanto nobile, spregevole, divino, diabolico solo quant’è lui…». (Francesco Lorenti)

8 ottobre 1978