Sulla Repubblica democratica del Congo il «silenzio complice del mondo»

La fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre rilancia la testimonianza di un docente al Seminario maggior di Malole sui disordini del 31 dicembre scorso. «La Chiesa è l’unica voce autorevole del Paese»

Almeno 8 morti, 120 arresti e numerosi feriti, tra cui anche dei sacerdoti. È il bilancio dei gravissimi disordini scoppiati in tutta la Repubblica Democratica del Congo lo scorso 31 dicembre, a causa della dura repressione da parte dell’esercito delle proteste della popolazione. A raccontarlo alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre è padre Apollinaire Cibaka Cikongo, docente presso il Seminario maggiore del Cristo Re a Malole. «I parrocchiani – riferisce – assistevano alla Messa quando i soldati hanno aperto il fuoco. I fedeli – continua padre Apollinaire – stavano per partecipare a una manifestazione pacifica organizzata dal Comitato laico di coordinamento. L’iniziativa aveva lo scopo di chiedere al presidente Kabila di rispettare gli accordi di San Silvestro, siglati esattamente un anno prima». Accordi che includevano l’impossibilità per Kabila, in carica dal 2001, di concorrere per un terzo mandato, eventualità che gli viene preclusa dalla stessa Costituzione.

La Chiesa «è l’unica voce autorevole del Paese e di conseguenza ci troviamo in prima linea. I media sono tutti schierati con il governo e l’opposizione è debole e frammentata in oltre 600 diversi partiti politici». Tuttavia, secondo padre Cikongo, la sola voce della Chiesa locale e della comunità cattolica non può bastare, dal momento che Kabila gode dell’appoggio di Paesi occidentali e superpotenze quali India e Cina, che lo proteggono in cambio del controllo delle risorse minerali congolesi. «Fin quando questi attori non faranno nulla, non ci sarà modo di uscire dall’attuale crisi». Proprio per questo è «imprescindibile», per il religioso, un intervento da parte della comunità internazionale nei confronti di  Kabila. «Tutti sanno esattamente quanto sta accadendo. Ma dal momento che le nostre sofferenze significano il guadagno di altri, il mondo intero preferisce rifugiarsi in un silenzio complice».

10 gennaio 2018