Sul monte degli Ulivi ultima lezione di fraternità

L'”uscita” più dura, per Gesù, nel giorno che precede la sua morte, quando per la prima volta fa partecipi i discepoli della sua intimità col Padre. L’assoluta solitudine del Signore

«Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: “Pregate, per non entrare nella prova”. Poi si allontano da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua”. Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato in agonia, pregava più intensamente, e il suo sudore divento come gocce di sangue bevute dalla terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per il dolore. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non essere inghiottiti nella prova”». Così nel Vangelo di Luca (cap. 22, 39-46).

Tra le continue “uscite” di Gesù quella che precede il giorno della sua morte è la più dura. La notte sul monte degli Ulivi è l’ultima lezione di fraternità che Gesù tenta di dare ai suoi discepoli, poi tutti loro si disperderanno e, quindi, su questo monte, resta incisa per sempre l’esperienza dell’assoluta solitudine del Signore. Per la prima volta Gesù fa partecipi i discepoli della sua intimità col Padre, per la prima volta essi entrano nelle viscere del Maestro. Egli pregava sempre da solo e quando aveva ceduto a parlare con loro di preghiera, l’aveva fatto spiegandola a parole. Stanotte egli apre loro la stanza più profonda della sua anima: quella che grida a Dio per avere soccorso e salvezza. Essi pensavano, forse, di trovarvi voci entusiastiche di forza e onnipotenza, certezza di vittoria alla destra dell’Onnipotente. Essi pensavano che Dio venisse in quella notte ad ascoltare e rassicurare con un sufficiente sorriso il Figlio, a dirgli che non doveva preoccuparsi. Trovarono, invece, un’atroce solitudine. La sua preghiera era vuoto e smarrimento, deserto senza confine, perdita di ogni pietoso argine, di qualsiasi soglia verso un Prossimo.

Gesù si allontana un tiro di sasso dai suoi discepoli per dire a un Padre silente la sua paura. Le sue ginocchia vanno in acqua, nell’orto deserto di Dio. Ci appare alla memoria un orto primordiale, il giardino dove, a un certo punto, Dio aveva perso Adamo – che si era nascosto – e si aggirava chiedendo: «Dove sei?» (cf Gen 3,9). In direzione opposta la ricerca di Gesù: «Sia fatta la tua volontà». Quella di un Padre che non si trova, che non risponde. Ma manda un angelo, cosi come fece per Agar, la schiava egiziana, quando il suo marito stesso, il padre Abramo, la scacciò come un’estranea nelle lande orrende del deserto con in braccio un figlio ancora bambino (Gen 21,14). Finita ormai ogni riserva d’acqua, ella lasciò suo figlio alla distanza di un tiro d’arco, per non vederlo morire. Allora alzò al cielo il suo grido che si confuse con quello di suo figlio. Il grido di Agar si unisce al grido di Gesù in questa notte di tenebre.

L’agonia di Gesù è fatta di sudore e di sangue. La terra beve le gocce di rubino che scendono dalla sua fronte, come fossero il sangue di Abele (cf Gen 4,10). Intanto gli apostoli, «dormivano per il dolore» (v. 45). Non erano riusciti ad essergli veri fratelli.

20 giugno 2022