Suicidio assistito, Santa Sede: «Prevalga la logica delle cure palliative»

La Pontificia Accademia per la vita sul via libera ottenuto da Mario, tetraplegico. «La legittimazione "di principio" non pone proprio alcun interrogativo a una comunità civile che considera reato grave l'omissione di soccorso ed è pronta a battersi contro la pena di morte?»

È di ieri, 23 novembre, la notizia del via libera al suicidio assistito ottenuto da Mario (nome di fantasia), 43 anni, di Pesaro, tetraplegico in seguito a un grave incidente e immobilizzato a letto da 10 anni. A concederlo, ha informato l’Associazione Luca Coscioni, il Comitato etico delle Marche. Mario sarà quindi «il primo malato a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito in Italia», rivendicavano dall’Associazione.

Un terreno, quello delle decisioni sul fine vita, «delicato e controverso», lo definiscono dalla Pontificia Accademia per la vita in una nota, diffusa nel pomeriggio di ieri, 23 novembre. La premessa è che «è certamente comprensibile la sofferenza determinata da una patologia così inabilitante come la tetraplegia che per di più si protrae da lungo tempo: non possiamo in nessun modo minimizzare la gravità di quanto vissuto da Mario». Resta però una domanda: vale a dire, «se la risposta più adeguata davanti a una simile provocazione sia di incoraggiare a togliersi la vita. La legittimazione “di principio” del suicidio assistito, o addirittura dell’omicidio consenziente – si chiedono i membri dell’Accademia -, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione a una comunità civile che considera reato grave l’omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati, ed è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti? Confessare dolorosamente la propria eccezionale impotenza a guarire e riconoscersi il nomale potere di sopprimere, non meritano linguaggi più degni per indicare la serietà del nostro giuramento di aver cura della nostra umanità vulnerabile, sofferente, disperata? Tutto quello che riusciamo a esprimere – aggiungono – è la richiesta di rendere normale il gesto della nostra reciproca soppressione?».

Nella riflessione degli esperti, si pone l’interrogativo – «almeno l’interrogativo, se non altro per non perdere l’amore e l’onore del giuramento che sta al vertice di tutte le pratiche di cura» – se «non siano altre le strade da percorrere per una comunità che si rende responsabile della vita di tutti i suoi membri, favorendo così la percezione in ciascuno che la propria vita è significativa e ha un valore anche per gli altri. In tale linea – proseguono -, la strada più convincente ci sembra quella di un accompagnamento che assuma l’insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili. È la logica delle cure palliative, che anche contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente, nella relazione che si stabilisce con l’équipe curante», viene chiarito nel testo.

La vicenda resa nota dall’Associazione Coscioni solleva poi, a giudizio dei membri della Pontificia Accademia per la vita, una domanda sul ruolo dei Comitati etici territoriali. «Non si può escludere che la difficoltà della risposta sia stata determinata anche dalla difficoltà di chiarire il ruolo da svolgere – osservano -. Infatti la dizione impiegata non è quella abituale (finora si è parlato di Comitati per la sperimentazione clinica, di Comitati per l’etica clinica). Del resto, nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 si richiede un compito che non corrisponde a quanto è previsto per entrambe le tipologie finora note: si tratta di operare un giudizio vincolante di conformità della particolare situazione clinica alle quattro condizioni stabilite dalla sentenza della Corte Costituzionale». Compito, questo, che «potrebbe più adeguatamente essere svolto da un comitato tecnico (medico-legale) che verifichi la sussistenza delle condizioni prescritte. Un comitato di etica – è la constatazione – potrebbe essere più correttamente coinvolto in una consultazione previa alla decisione del paziente».

24 novembre 2021