Sud Sudan, combattimenti a Juba
È di 270 vittime il bilancio di 4 giorni di scontri armati, che non hanno risparmiato basi e uffici Onu. I missionari: colpi di mortaio e civili in ostaggio
È di 270 vittime il bilancio di 4 giorni di scontri armati, che non hanno risparmiato basi e uffici Onu. I missionari riferiscono di colpi di mortaio e civili in ostaggio
Juba, la Capitale del Sud Sudan, è tornata ostaggio dei combattimenti tra i seguaci del presidente Salva Kiir e le milizie legate al suo vice Riek Machar. Da giovedì 7 luglio si susseguono, ancora fino a ieri, lunedì 11, scontri armati che non hanno risparmiato basi e uffici delle Nazioni Unite. Più di 270 le vittime accertate in questa nuova crisi, che si è aperta poche settimane dopo la nascita di un governo di unità nazionale chiamato ad applicare accordi di pace siglati dopo due anni di guerra civile.
«Shock e rabbia»: questa la reazione espressa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre i missionari presenti sul posto riferiscono di colpi di mortaio che «cadono in mezzo ai civili», lanciati dalle fazioni che «vogliono eliminarsi a vicenda». Le esplosioni, hanno dichiarato ieri, lunedì 11 luglio, «sono risuonate almeno fino a mezzogiorno nella zona della base dell’Onu. Il ponte sul Nilo è bloccato e l’aeroporto è stato chiuso, rendendo impossibile anche l’evacuazione del personale delle ambasciate straniere».
Secondo fonti locali, i “non sud-sudanesi” sono stati autorizzati a lasciare il Paese attraverso il valico di frontiera con l’Uganda. Muoversi, però, significa rischiare la vita. «I civili sono rintanati nelle case e chi si avventura fuori lo fa solo perché costretto dalla fame o perché spera di raggiungere un riparo – le voci dalla Capitale in preda ai combattimenti. Chi può si dirige verso il campo profughi di Tonping o la cattedrale cattolica di Kotor».
A fronteggiarsi sarebbero unità dell’esercito e reparti integrati nelle Forze armate sulla base dell’accordo di pace dello scorso anno e delle direttive del governo di unità entrato in carica ad aprile. Dell’esecutivo fanno parte sia Kiir che Machar, responsabili del conflitto civile deflagrato nel 2013, appena due anni dopo la festa per l’indipendenza del Sud Sudan da Khartoum. Le vittime della guerra sono state decine di migliaia, alle quale vanno aggiunte le oltre 200 degli ultimi quattro giorni. Oltre due milioni invece i profughi, che nella maggior parte dei casi non hanno ancora potuto rientrare nelle proprie case.
11 luglio 2016