Strasburgo, fiori e pochi turisti: «Il Natale per noi è già finito»

Il giorno dopo l’attentato in rue des Orvèvres la città alsaziana sperimenta amarezza e silenzio. L’arcivescovo Ravel: ferita l’Europa e l’umanità intera

È mesto il suono del campanone della cattedrale di Strasburgo. Per dieci minuti, a partire dalle 12, i rintocchi a lutto della fanno alzare lo sguardo in alto verso i 142 metri della sommità dell’antica torre campanaria gotica, uno dei simboli della città alsaziana, ferita a morte ieri sera per l’attentato in rue des Orvèvres, a due passi dalla piazza centrale. In prima mattina la via dei negozi di lusso è stata pietosamente ripulita dal sangue delle vittime e dei feriti; rimosse le coperte con cui erano stati coperti i cadaveri.

Dell’attentatore, il 29enne Chérif Chekatt, braccato dalla polizia si hanno poche notizie. Sui motivi che lo hanno spinto a segnare di sangue la “capitale del Natale” (come ama definirsi Strasburgo) stanno lavorando gli inquirenti. In mattinata la Prefettura del Grand Est ha diramato un nuovo bollettino – definito provvisorio – sul numero dei morti e delle persone ricoverate in ospedale, diverse delle quali gravi. Fra di esse, il giovane giornalista italiano Antonio Megalizzi *. A sua volta il sindaco ha convocato una conferenza stampa con i ragguagli sulla situazione in città. Le indagini proseguono, ci sono i primi fermi.

Monsignor Luc Ravel, arcivescovo, afferma: «Ancora una volta la violenza terroristica ci ha colpito. Ha attaccato Strasburgo, capitale europea. Con la nostra bellissima città, è l’Alsazia ad essere ferita, è la Francia ad essere colpita, l’Europa e tutta l’umanità». Un minuto di silenzio viene rispettato nella vicina sede del Parlamento europeo, dove è in corso la sessione plenaria. Adesso quel che resta sul selciato di rue des Orvèvres sono solo i mazzi di fiori depositati nel silenzio.

giornalista italiano Antonio Megalizzi
Fiori sul luogo dell’attentato (Foto Ansa)

Marta, strasburghese che abita qui vicino, si ferma, immobile, in silenzio per alcuni istanti. Fissa lo sguardo sui fiori. Poi risponde gentilmente al cronista: «Ero in casa, ho sentito gli spari, ma soprattutto le urla. Agghiaccianti. Ho aperto la finestra, ho visto la gente correre. Una ragazza si tirava i capelli per la disperazione. Sono scoppiata a piangere, ho capito subito che sarebbe stata una tragedia». Non parla di terrorismo. E anche le autorità sono prudenti. Marta, non più giovane, ha negli occhi chiari solo una tristezza velata e dignitosa.

È un clima surreale quello che si respira nelle vie del centro. Prevale, a tratti, un silenzio ovattato, poche le voci sopra le righe. Poi il vociare dei gendarmi e dei numerosi giornalisti e videoperatori. I turisti girano alla larga: per loro i negozi hanno riaperto, anche a pochi metri dal luogo dell’attacco. Nel vicino caffè con l’insegna italiana alcuni uomini anziani commentano i fatti. Poche parole. Marc tiene in mano una birra: «non ho ancora capito quanti sono i morti e i feriti, non so se hanno preso il criminale. Però qui, in questa città tranquilla, non siamo abituati a tutto questo. La gente vuole vivere in pace, qui ci sono i turisti per i mercatini di Natale. Ma forse a Strasburgo le feste sono già finite».

Alcuni curiosi si avvicinano. Dietro l’angolo una giovane commessa racconta davanti a una telecamera quello che ha visto la sera prima: “gli spari, tutti gridavano, sembravano impazziti – dice masticando le parole –. A un tratto le sirene, i poliziotti, poi stop, nessuno ha più parlato”.Questa è una strada di grande passaggio: a pochi passi dai mazzi di fiori c’è la Maison de Hanssen & Gretel, una delle attrazioni cittadine. Subito dietro il winstub Le clou, alle spalle la rinomata pasticceria Naegel, più avanti l’enoteca Nicolas. A mezzogiorno ecco le campane a morto. Tutti si fermano, le voci si zittiscono. L’agente di guardia abbassa il mitra e leva il cappello.

Nel frattempo i lavori al Parlamento europeo sono ripresi. Un po’ più tardi del solito, vero le 10. L’edificio Louise Weiss ieri sera è rimasto blindato per parecchie ore. Chi si trovava all’interno – come me – è rimasto bloccato sin dal momento dell’attentato. “Le porte sono chiuse, non si esce e non si entra”, ripetevano gli addetti alla sicurezza interna. Poi, poco prima delle 2 del mattino, il presidente Antonio Tajani ha convocato tutti in emiciclo per spiegare la situazione e assicurare che si sarebbe ritornati a casa o nei rispettivi alberghi su autobus o in taxi, scortati dalla polizia.

Personalmente ho lasciato il Parlamento poco prima delle 5. Un tassista, preoccupato per l’accaduto e per i suoi affari, mi ha scaricato lontano dal centro, dove risiedo: da lì in poi l’accesso alle auto era interdetto. Ho camminato a lungo, incontrando solo poliziotti e militari. Salvo il solito mendicante che staziona all’inizio di rue des Frères. Lo conoscono tutti, apre la porta laterale della cattedrale ai pellegrini e ai visitatori, che gli allungano qualche moneta. Anche lui avverte che l’aria è diversa dal solito: “questa sera non è passato nessuno. Solo qualche giovane che mi ha detto della sparatoria. Io resto qui, non ho altro posto da andare. Dirò una preghiera”. Attorno gelo e silenzio. Oggi la vita, nonostante tutto, riprende.

12 dicembre 2018

*la notizia della morte di Antonio Megalizzi è stata confermata ufficialmente dalla Farnesina il 14 dicembre 2018. L’avviso della gravità della situazione era stata data nel pomeriggio di mercoledì dal professor Pascal Bilbaut direttore dell’ospedale Hautpierre, dove era ricoverato.