Strage di Parigi, combattere il terrore con gesti di riconciliazione

Le reazioni dell’associazionismo cattolico e non solo all’indomani degli attacchi in Francia: «Democrazia e libertà per spezzare il cerchio della violenza»

Le reazioni dell’associazionismo cattolico e non solo all’indomani degli attacchi contro la Capitale francese: «Diritti, democrazia e libertà per spezzare il cerchio della violenza»

«Malgrado il sentimento di orrore che ci travolge e la nostra profonda tristezza per le vittime e le loro famiglie, non lasciamoci accecare dalla collera e dalla paura». È la reazione immediata di Pax Christi France agli attacchi terroristici che hanno colpito Parigi nella tarda serata di venerdì 13 novembre. In una nota a firma del presidente monsignor Marc Stenger, vescovo di Troyes, della delegata nazionale Catherine Billet e del cappellano nazionale Dominique Lang, il movimento prende a prestito le parole di Francesco d’Assisi: «Là dove c’è odio, che portiamo l’amore, là dove sono le tenebre che portiamo la luce».

Parte invece da un interrogativo la riflessione di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari: «Abbiamo fatto ogni passo e intrapreso ogni azione possibile per costruire quelle condizioni necessarie, tra cui il favorire più parità, uguaglianza, solidarietà, comunione dei beni, per cui violenza e azione terroristiche perdono possibilità di agire?». Per la presidente dei Focolari «è evidente che neppure la reazione incontrollata alla violenza farà indietreggiare coloro che vogliono annientare le forze vive dei popoli e la loro aspirazione a convivere in pace. La convinzione che il mondo può camminare verso l’unità e superare lo scontro e la violenza delle armi – continua – resta viva nell’animo e nell’azione di quanti hanno a cuore l’amore per ogni uomo e il futuro della famiglia umana e vogliono realizzarla mediante l’azione della politica, gli strumenti dell’economia, le regole del diritto». Di qui il rinnovato impegno a «intensificare e moltiplicare atti e gesti di riconciliazione, spazi di dialogo e comunione, occasione di incontro e condivisione, per raccogliere il grido dell’umanità e trasformarlo in nuova speranza».

Unanime, in tutto il mondo, la condanna e il cordoglio per le vittime. E unanime anche la richiesta che si fermino le violenze. Associazioni, movimenti, ong e non solo fanno appello alla comunità internazionale perché assicuri maggiore libertà e democrazia, per evitare nuove stragi di civili. «Diritti, democrazia e libertà sono l’unico modo per spezzare il cerchio della violenza e del terrore. L’alternativa è la barbarie che abbiamo davanti e alla quale non possiamo arrenderci», si legge in una nota diffusa da Emergency. Ancora una volta «colpire la popolazione civile è un gesto disumano e vigliacco. Vediamo accadere in Europa quello che da anni accade in Afghanistan, in Iraq, in Siria: le nostre scelte di guerra ci stanno presentando il conto di anni di violenza e di distruzione».

Parigi, osserva il responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII Giovanni Ramonda, «è una nuova tappa che ci deve portare a cercare di rimuovere le cause di una violenza planetaria ormai imprevedibile». Per Ramonda, è necessario «un esame di coscienza dell’Occidente e delle nazioni che continuano a vendere armi, a sedersi da una parte ai tavoli negoziali e dall’altra a foraggiare le nazioni in cui si annidano fondamentalismi estremi». Ancora, «il grido delle vittime di Parigi ci deve fare ribellare contro tutte le forme di violenza che si annidano contro l’uomo, dall’uccisione nel grembo materno all’uccisione dei rifugiati sui barconi». La «nonviolenza vissuta» allora è «la risposta vera alla crisi dell’oggi». In questa lotta nonviolenta, è l’auspicio di Ramonda, ritrovi l’unità l’Europa, chiamata a «lanciare ponti, costruire relazioni riconciliate e solidali».

All’indomani della strage di Parigi, anche il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti rinnova a nome della struttura dei Gesuiti e non solo l’impegno a «essere uomini e donne di dialogo, di pace». I fatti di Parigi, commenta, «hanno mostrato il volto orribile del terrorismo. Quello stesso terrorismo da anni in Paesi come la Nigeria, la Siria, il Mali e l’Afghanistan colpisce indiscriminatamente civili inermi e mette in fuga ogni giorno migliaia di persone». Per il gesuita, «è nostra responsabilità lavorare insieme per la costruzione di società in cui il rispetto dei diritti e della dignità di ciascuno sia l’unica forma di contrasto ad abusi e violenze. Mai come in questo momento – conclude – è importante continuare ad agire in nome della solidarietà nei confronti degli oppressi e delle vittime di conflitti e di violenze».

Davanti ai nostri occhi, è la riflessione di don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione (Cl), «c’è un’evidenza: la vita di ciascuno è appesa a un filo, potendo essere uccisi in qualsiasi momento e ovunque, al ristorante, allo stadio o durante un concerto. La possibilità di una morte violenta e feroce è divenuta una realtà anche nelle nostre città. Per questo i fatti di Parigi ci mettono davanti alla domanda decisiva: perché vale la pena vivere?». Una domanda provocatoria, la sua,eppure, avverte, «cercare una risposta adeguata alla domanda sul significato della nostra vita è l’unico antidoto alla paura che ci assale guardando la televisione in queste ore. È il fondamento che nessun terrore può distruggere».

16 novembre 2015