Strage di migranti in mare, Sant’Egidio: indifferenza di tutti

La veglia a Santa Maria in Trastevere dopo il dolore espresso dal Papa. Gnavi: «L’abitudine al dolore altrui può diventare pericolosa»

La Comunità di Sant’Egidio ha promosso nella giornata di ieri, 26 aprile, in Italia e in tutta Europa delle veglie di preghiera in memoria delle vittime del naufragio avvenuto davanti alle coste libiche nella notte tra il 22 e il 23 aprile scorsi. All’indomani delle parole dure e amareggiate di Papa Francesco, che domenica, al termine del Regina Caeli, si era detto «molto addolorato» per la tragedia consumata nel Mediterraneo, quando «130 migranti sono morti in mare dopo che per due giorni hanno implorato un aiuto che non è arrivato», a Roma il momento di preghiera – trasmesso anche in streaming sui canali social del movimento laicale – ha avuto luogo nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, presieduto dal parroco don Marco Gnavi.

«Può l’Europa volgere gli occhi altrove davanti a quello che è accaduto? L’abitudine al dolore altrui che sembra prevalere sta diventando e può diventare molto pericolosa – ha osservato il sacerdote nel corso della sua meditazione -. È nell’indifferenza delle istituzioni, e di tutti, che per 27 ore dei fratelli hanno atteso invano un soccorso: il loro grido e le loro braccia levate verso il cielo non sono state sufficienti per trovare aiuto».

Guardando alla croce posta sull’altare, «le cui braccia sono composte da quello che rimane del legno delle imbarcazioni arrivate dal mare davanti a Lampedusa», Gnavi ha colto una perfetta relazione – «perché talvolta la Bibbia dà voce al comune grido di tanti uomini e tante donne» – tra la richiesta di aiuto inascoltata dei migranti e il salmo 69. «Nel testo biblico ci pare di poter percepire la loro angoscia – ha spiegato –, laddove un uomo, rimasto solo, si rivolge a Dio e dice “Mi aspettavo dei consolatori ma non ne ho avuti”. E, ancora, insiste invocando: “Salvami, perché le acque mi sono penetrate fino all’anima. Liberami dal fango, ché io non affoghi”».

Ecco quindi il senso «di questa nostra preghiera – sono ancora le parole del sacerdote -: la morte di questi migranti è un invito a lasciarci scuotere le coscienze, perché non si volga più lo sguardo altrove ma si torni invece a salvare la vita degli altri». Per questo, Gnavi ha richiamato ciascuno ad un impegno concreto, perché «come diceva don Pino Puglisi, se ognuno fa qualcosa, si può fare molto. Nessuno, infatti, si salva da solo: siamo una sola famiglia, quella dell’umanità».

Infine, con un appello affinché si riattivi con urgenza una rete rapida ed efficiente di salvataggio in mare, come previsto dal Diritto internazionale, «aprendo inoltre con urgenza corridoi umanitari dalla Libia verso i Paesi europei», Gnavi ha auspicato che mai più «il grido dei migranti ci trovi timidi o tiepidi» così che, «guardando al Risorto che vuole contagiare il mondo con la sua speranza, dalla croce si possa intravvedere la Resurrezione».

27 aprile 2021