Storie da via Marsala. «L’Ostello? La nostra salvezza»

La disoccupazione, la mancanza di un’abitazione, la malattia. Problemi con cui si scontrano tanti utenti della struttura Caritas. «La crisi abbassa l’età media»

Antonino ha un sorriso luminoso: è il suo modo di esprimere serenità e speranza. «Sono appena tornato da Varsavia – racconta -. In Italia per noi la situazione era difficile. Così quattro anni fa con la mia compagna Marta, che ha origini polacche, abbiamo tentato questa nuova esperienza». Un amore, il loro, nato nel 2009 tra le mura dell’ostello Caritas “Don Luigi Di Liegro”, in via Marsala, a due passi dalla stazione Termini. «Questo luogo ha significato tanto per noi – confida -. È stata la nostra salvezza».

A oggi sono 185 le persone che dispongono di un alloggio intervallano della struttura, tra le 17.30 e le 8.30 del mattino successivo. Per la maggior parte sono italiani con gravi difficoltà economiche ma numerosi sono anche i migranti in fuga da guerre, disastri ambientali e persecuzioni. «La regola è che non restino più di tre settimane, con eccezioni per i casi più delicati, come quelli degli anziani soli e malati – spiega Massimo Diociaiuti, volontario Caritas da 28 anni -. Il rischio più evidente che ne può derivare è la “cristallizzazione” totale della persona e della sua volontà di reagire».

“Rialzarsi” per poter tornare a vivere: un impegno a cui quotidianamente tentano di far fronte quanti non hanno una casa, hanno problemi di dipendenza patologica o vivono situazioni economiche e familiari complesse, segnate da perdite, violenze o divorzi. «La crisi sta cambiando l’utenza e abbassando l’età media degli ospiti – riferisce Massimo -. Per un numero sempre maggiore di persone la strada rappresenta l’unica possibilità». Una scelta inevitabile e dolorosa che si è trovato a fare anche Antonino: «Ho dormito per diversi giorni su una panchina, eppure è un altro il ricordo più brutto che ho – racconta con sguardo commosso -. Tempo fa ero riuscito a trovare un posto all’interno dell’ostello mentre la mia compagna era rimasta in strada. Ero terrorizzato all’idea di lasciarla sola, così le avevo trovato una sistemazione grazie a due miei cari amici».

In passato Antonino ha lavorato per una cooperativa, poi il sorgere dei primi problemi: il taglio del personale nel 2006, l’impossibilità di trovare un nuovo lavoro e di pagare l’affitto. «Dopo il divorzio sono tornato a vivere da mia madre ma con la sua morte tutto è di nuovo cambiato: all’età di 58 anni ho dovuto ricominciare da zero». A rendere tutto più tragico, il sopraggiungere di tre ictus e la scoperta di una grave malattia. «Ho imparato a prendere di petto i problemi, rivolgendo sempre lo sguardo avanti – prosegue accennando un sorriso -. Il mio carattere testardo mi ha aiutato tanto». Oggi Antonino ha 70 anni e trascorre le sue giornate passeggiando con Marta per le vie limitrofe alla stazione. Ma quando parla del nipotino di appena un anno e mezzo, i suoi occhi si illuminano di gioia: «È lui il mio futuro. Non passa giorno che non desideri vederlo».

Una storia, quella di Antonino, che si intreccia inevitabilmente con le esperienze vissute da quanti prestano il loro servizio nell’ostello di via Marsala. «Trovo estremamente gratificante, arricchente e coinvolgente ciò che faccio – racconta ancora Diociauti, bancario oggi in pensione -. Qui mi sento a casa mia». La sua attività ha inizio per caso nel ’92, quando legge un annuncio in cui si cercavano volontari: «Ho iniziato sistemando le stanze e distribuendo pasti alla mensa – ricorda -. Oggi faccio le notti in ostello e sono uno dei volontari del Servizio notturno itinerante, che fornisce un presidio di assistenza ai senza fissa dimora».

È un’atmosfera accogliente, persino giocosa, quella che si crea nella struttura: dopo cena c’è chi rimane nel salone della mensa per vedere un film o la tv; chi si ferma a parlare con gli amici o chi si ritira nella propria stanza. Tra le attività di socializzazione proposte c’è anche la lettura dei quotidiani ogni lunedì sera: «Approfondire e commentare le notizie consente all’ospite non solo di acquisire una propria consapevolezza, ma anche di risvegliare una coscienza sociale che nel tempo si è assopita – precisa Massimo, coordinatore dell’incontro insieme alla figlia di 27 anni -. Questa occasione rappresenta solo la piccola tappa di un cammino volto a reinserire la persona nella vita e nel tessuto sociale della propria comunità».

7 gennaio 2020