Special Olympics: quando lo sport è al servizio dell’essere umano
Il presidente Timothy Shriver e Loretta Claiborne, atleta ambasciatrice del movimento, alla Lumsa con gli studenti: «Ridefinire successo e vittoria»
Il presidente Timothy Shriver e Loretta Claiborne, atleta icona e ambasciatrice del movimento, alla Lumsa con gli studenti: «Ridefinire successo e vittoria»
«Attraverso lo sport, che è qualcosa di semplice come correre dietro a una palla, impariamo la bellezza di ciò che Dio ci ha dato». Parlando agli studenti dell’università Lumsa di Roma, ieri, 4 ottobre, l’atleta e testimonial di Special Olympics Loretta Claiborne ha gli occhi lucidi di emozione ma anche di orgoglio. «Io credo che gran parte dei problemi che affliggono oggi il nostro mondo siano dovuti alla mancanza di comprensione. Non ci sarà futuro se non riusciremo a superare queste barriere». L’associazione sportiva internazionale, nata nel ’68 e che ad oggi raccoglie più di 5 milioni di aderenti, si occupa di organizzare i Giochi Olimpici Speciali, la manifestazione biennale per atleti con disabilità intellettiva; un’esperienza diversa, dunque, da quella delle Paralimpiadi, terminate a Rio de Janeiro circa un mese fa, riservate agli atleti con disabilità fisiche, organizzate dal Comitato paralimpico.
Loretta interverrà in Vaticano alla seconda Conferenza mondiale su Fede e Sport “Sport at the Service of Humanity”, che inizia oggi, 5 ottobre, e prosegue fino al 7, insieme al presidente internazionale di Special Olympics Timothy Shriver, figlio della fondatrice dell’associazione Eunice Kennedy Shriver, e nipote nientemeno che di John Fitzgerald e di Bob Kennedy. «Noi riteniamo che lo sport aiuti a rimuovere le barriere. Quando giochiamo possiamo vedere l’aspetto più vero di noi» ha detto Shriver, che nell’occasione ha promosso anche il suo libro “Pienamente vivi”, edito da Itaca, che si richiama alla citazione di sant’Ireneo: «La gloria di Dio è l’uomovivente». «La gloria di Dio siete voi, ognuno di voi pienamente vivo» ha affermato rivolgendosi agli studenti. Ed è per questo che «gli atleti di Special Olympics ci aiutano a ridefinire cos’è il successo e la vittoria nella vita». Lo sport quindi come inclusione, come mezzo per favorire la crescita di chi ha difficoltà, e che finisce per essere strumento pedagogico per tutti. «Invece di chiedere chi è il migliore preferiamo chiedere qual è il meglio che riesci a fare – ha concluso Shriver -. Solo se si raggiunge una saggezza spirituale adulta ci si può sentire pienamente vivi».
«Lo sport deve diventare un mezzo di umanizzazione e non di disumanizzazione» ha infine concluso Raniero Regni, docente di pedagogia sociale e interculturale alla Lumsa. «Ci si è resi conto che è un universale culturale perché, assieme al gioco, appartiene alla struttura antropologica dell’essere umano. Il problema però è che lo vediamo soltanto nel suo appeal di successo e non ci rendiamo conto di quanto possa rappresentare una via privilegiata per la formazione, esaltando la funzione educatrice dell’essere umano». Il professore umbro, citando Francesco d’Assisi e il fatto che questi gesti ci ricordano quando «ha incontrato il lebbroso, si è fermato e l’ha baciato», ha terminato dicendo che «lo sport mobilita l’essere umano, dimostrando che dentro di lui c’è molto più di quello che si vede». E che «il Papa ha avuto l’idea geniale di mobilitare l’intero globo: il culto del corpo è sempre stato centro del potere, oggi invece diventa al servizio della fede. E la Chiesa ha capito benissimo l’importanza di riportare lo sport al servizio dell’essere umano». (Francesco Gnagni)
5 ottobre 2016