Solidarietà, per rianimare l’economia

La pausa forzata potrebbe aiutarci a riprendere in modo diverso, più sostenibile, con ritmi più umani, con meno spostamenti non necessari, con minori pretese di poter e saper programmare tutto, riconoscendoci tutti vulnerabili e quindi più attenti gli uni agli altri

Sono giorni che oscilliamo nel binomio salute-economia. Per proteggere vite umane dobbiamo fermarci, e per fermarci dobbiamo sospendere la produzione di tanti beni e servizi. E sono giorni che sentiamo voci levarsi a favore degli slogan: “la salute prima di tutto”, oppure “dobbiamo ripartire il prima possibile”. Sembrerebbe che i due interessi siano in contrapposizione. In realtà non è così semplice. In entrambi i casi ci stiamo preoccupando di salvare vite umane, quelle in pericolo di contagio e di una malattia che può essere fatale, e quelle in pericolo di fame e disoccupazione, inevitabilmente innescate da una lunga recessione.

La sfida che abbiamo davanti e che ci sprona a mettere in campo tutte le energie possibili è il passare da salute “o” economia a salute “ed” economia: ci sta a cuore la salute integrale delle persone, di ogni persona. Per fare questo passaggio abbiamo innanzitutto bisogno di superare alcune categorie culturali, come quella di considerare i poveri come colpevoli o demeritevoli: in fondo se sono in quelle condizioni se la sono cercata. Questo modo di pensare poteva già essere messo in discussione in tempi precedenti all’emergenza. Gli studi sulle povertà ci suggeriscono che miseria e indigenza dipendono innanzitutto da accesso ai diritti, situazione familiare e sociale di partenza, reti di relazioni, e tanto altro che va al di là delle scelte di autodeterminazione del singolo.

Ma è importante rendersi conto che, come tutti siamo a rischio di ammalarci, indipendentemente dal posto in cui viviamo, dallo status o dalla ricchezza, così allo stesso modo tutti viviamo nell’incertezza di poter rimanere senza lavoro, sul lastrico da un momento all’altro. E come per la malattia coloro che sono più a rischio di conseguenze nefaste sono i più fragili, così per l’economia. Allora lo stesso impegno che stiamo profondendo nel cercare di salvare ogni vita umana – non importa l’età, la condizione sociale, la provenienza – va messo per alleviare le conseguenze economiche negative della pandemia. Lo stesso spirito di solidarietà che sta muovendo ciascuno a rispondere all’appello del garantire le cure per tutti deve spingerci a cercare soluzioni per rianimare l’economia e quindi la possibilità di una vita dignitosa per tutti.

Questo tempo non sarà passato invano se, mentre ragioniamo su strumenti, anche tecnologici, che ci permetteranno di riaprire presto le attività in maggiore sicurezza per la salute, sapremo fare tesoro anche di quello che stiamo imparando nell’attesa. La pausa forzata potrebbe aiutarci a riprendere in modo diverso, più sostenibile, con ritmi più umani, con meno spostamenti non necessari, con minori pretese di poter e saper programmare tutto, riconoscendoci tutti vulnerabili e quindi più attenti gli uni agli altri. E nessuno Stato può illudersi di riuscire a far da sé: siamo tutti nelle stesse condizioni e solo insieme se ne uscirà, come ci ha ricordato Papa Francesco da piazza San Pietro: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti».

7 aprile 2020