Solidarietà nelle borgate

1977, nascono cooperative di consumo e di assistenza contro la disgregazione del tessuto sociale. «La crisi, diceva una donna del Tufello, è che non si può più anna’ avanti così»

La crisi economica da tempo occupa le cronache politiche e le riflessioni dei sociologi ma interessa in modo particolare coloro che vivono ai margini della città. «La crisi, diceva una donna del Tufello, è che non si può più anna’ avanti così». L’incremento della disoccupazione, il costo della vita enormemente aumentato, la difficoltà di vedere possibili soluzioni, segnano profondamente la vita quotidiana della periferia. A Primavalle, una donna che faceva la spesa ha cominciato a urlare in mezzo al mercato: «Avevo 22mila lire, non ci ho comprato niente. Adesso come faccio a tornare a casa?». Le altre persone l’hanno lasciata lì, sola, scappando ciascuna a risolvere come meglio poteva il proprio problema. A Nuova Ostia una donna dopo essere tornata dal mercato trova la casa occupata da un’altra famiglia. I bambini, in piena fase di sviluppo e di crescita, spesso non hanno possibilità di mangiare la carne.

Molti altri fatti potrebbero essere riportati. Ma quello che è necessario rilevare è l’incidenza profonda che questa situazione ha sulla concezione stessa della vita nella gente. Oggi, infatti, un nuovo denominatore comune sembra percorrere la periferia: è costituito dai caratteri di estrema sfiducia e di rassegnazione che la crisi economica imprime in tutti coloro che vivono ai margini. Il senso di precarietà, che segna la vita di ciascuno e i rapporti con le persone, penetra sino a disintegrare il tessuto già fragile delle borgate. Il dovere difendere faticosamente l’essenziale senza potersi concedere nulla oltre questo; il fatto di trovarsi a pagare più duramente la crisi generale, mentre i mezzi di comunicazione pubblicizzano i “beni di consumo”; l’individualismo forte e violento che nasce in questo contesto costituiscono alcuni dei tratti di una nuova “cultura della sopravvivenza” che sta maturando. Una cultura che contribuisce all’emergere di soluzioni individuali, al rinserrarsi nel proprio ghetto, a non accorgersi di chi si ha intorno, alla violenza dei rapporti.

Tuttavia, ai margini della città, la nascita del Signore ripropone la speranza di una via da percorrere. Essa nasce non da un sentimento di resa ma da una volontà di resistenza. Mentre la crisi spinge alla solitudine, la speranza del Signore fa stringere insieme coloro che sono costretti ad attraversare il buio tunnel dell’odierna situazione. In varie zone della periferia romana alcune piccole comunità, ponendosi come luogo di riaggregazione e di solidarietà, hanno tentato di rispondere agli urgenti bisogni. Si son venute sviluppando varie forme reciproco aiuto all’interno della comunità stessa e verso i più poveri ed emarginati. Si son realizzate, ad esempio, delle cooperative di consumo per poter effettuare un risparmio sulla spesa familiare. Un fondo comune, realizzato all’interno della cooperativa, serve per aiutare gli anziani soli, le cui pensioni sono spesso insufficienti, oppure le famiglie in difficoltà economiche, disoccupazione, malattia, ecc.

Si tratta di forme molto semplici di solidarietà che, assieme ad altre iniziative, ritessono quel tessuto umano disgregato segnato ulteriormente dalla crisi, ma che da molti è sentito con nostalgia. Un uomo del Trullo diceva: «Il fatto è che a Roma, non c’è rispetto pe’ l’altri, nun ce s’aiuta. Io per esempio la vita della collettività la trovo meglio in paese, diciamo, dove ce so’ le persone che se conoscono tutte. Ma questo a Roma nun lo vedo più. A Roma io vedo che abitando in una stessa palazzina, neanche li conosciamo perché ognuno vo’ esse superiore a l’altro. Oppure se te confidi di qualcosa o te fanno gabbo o c’hanno da dì la sua sopra… a me invece me piace che potessimo tutti diventa’ ‘na famiglia». (Vincenzo Paglia)

18 dicembre 1977